La nuova sciagura della nostra epoca sembra essere la “Madre Narcisista”, la Grande Madre concentrata su se stessa “non in grado di trasmettere ai figli la possibilità dell’amore come realizzazione del desiderio e non come il suo sacrificio mortifero” (M. Recalcati su «la Repubblica» del 28.2.2015).
I più anziani di noi ricorderanno un tango in cui Nilla Pizzi canta: “Per la tua piccolina, non compri mai balocchi, mamma tu compri soltanto profumi per te!” e con il casché inchioda l’impietosa Mamma Narcisista alla meritata vergogna! Un motivo del 1928 che viene canticchiato in Italia per decenni dalle mamme che lanciano minacce alle figliolette capricciose, almeno fino agli anni Settanta: “Continua così e guarda come diventerai!”. Perché la protagonista della canzone è naturalmente una bambina, così come femmine sono preferibilmente le destinatarie delle angherie di varie madri-matrigne-streghe crudeli nelle fiabe: da Biancaneve a Cenerentola passando per Raperonzolo.

In quegli anni, nel cuore dell’Europa, sta crescendo, tra le grinfie di una Madre Narcisista, vanitosa, prepotente, distratta da feste e amanti, quel genio della letteratura del Novecento che è Irène Némirovsky. Un’autrice che ha fatto della propria sofferenza infantile e della diabolica figura materna materia di libri meravigliosi. Una madre diabolica, la sua, non in senso religioso quanto etimologico – che separa, crea divisioni, accusa ­– avendola crudelmente separata dall’unica donna che Irène amava e da cui era amata, la tata francese. Il suo dolore lacerante ci ha regalato capolavori, tra tutti Yetzabel, in cui viene descritta la Madre Narcisista. Ancora, capolavoro di crudeltà, nella biografia disgraziata di questa discendenza di donne, un emblematico episodio: la madre di Irène, nonna delle sue due figlie, non apre il portone del suo appartamento parigino alle nipoti in fuga con la tata dai nazisti, che avevano prelevato Irène e il marito per mandarli a morte. Alla tata implorante aiuto, risponde: “Se ne vada, io non ho nipoti!”. Quella della “Madre Narcisista” non è quindi una figura nuova.

Ma basta, protesta Chiara Saraceno in risposta a Recalcati («la Repubblica», 2.3.15). Basta dare tutte le colpe a queste povere madri che debbono desiderare di stare sempre nell’accudimento! Riconosciamo anche a loro, come è scontato per i padri, il diritto ad occuparsi di sé, dei propri progetti, del mondo. La genitorialità non è solo accudimento, è anche generatività. E comprende un progetto creativo più ampio.

Ma si può essere Madri-Narcisiste o Padri-Narcisisti o semplicemente Narcisisti. Non c’è scampo. Si può essere Narcisisti anche nell’accudimento: verso i figli, o il mondo, o la carriera, o perfino nella pulizia del garage.
Perché l’essere Narcisisti, nel senso attuale e divulgativo del termine, significa essere centrati unicamente, o massicciamente, su sé stessi e sulla realizzazione dei propri desideri. Desideri che potrebbero comprendere anche l’accudimento altrui, un po’ come nella barzelletta del boy scout che fa attraversare a forza la nonnina, che giunta dall’altra parte della strada spiega di non avere avuto alcuna intenzione di attraversare. È il desiderio. Meglio, è questo imperio del desiderio, questo vivere nella convinzione che il realizzare desideri sia un diritto che ci fa essere tutti novelli Narciso, che vede nel mondo solo riflessi di sé.

Siamo dunque tutti sotto la dittatura del Desiderio: esso ci imprigiona, ci incatena, ci rende vittime di un’inquietudine mai paga. Perché il desiderio, per sua intima e costitutiva natura, è un "tendere a", una lontananza, un porre il proprio oggetto in cielo, tra le stelle: prova ne è il suo etimo, che deriva dall’operazione di divinazione cui si dedicavano gli aruspici, consultando gli astri, e descrive il momento in cui gli astri non apparivano, erano nascosti, lontani (de-sidus).

Il desiderio è sperare nella realizzazione, operare perché avvenga ma avere in mente che non dipende solo da noi, dalle nostre capacità, dalla nostra buona volontà. Desiderare con saggezza significa tenere vicina la propria fragilità e volerle del bene, e avere in mente che anche quando un desiderio si compie non lo fa mai con le forme con cui lo avevamo immaginato. Ma conterrà sempre, in un certa misura, un qualche grado di insoddisfazione che ce ne svela la sua natura libera. Libera anche da noi che lo abbiamo generato: autonoma e celeste, proprio come i figli.