Dopo la Rivoluzione. A sei mesi di distanza dalla rivoluzione, la Tunisia si avvia verso la transizione. La rottura con il regime di Ben Ali ha ridato la fierezza a tutti quei giovani, disoccupati, umiliati, provenienti per lo più dai quartieri popolari e dalle regioni più marginalizzate, che hanno svolto un ruolo determinante per il successo delle manifestazioni. Sono stati loro, con un’azione collettiva poco istituzionalizzata, il vero motore delle proteste che si sono diffuse a macchia d’olio in tutto il paese. L’attivismo militante non si è fermato al 14 gennaio. L’inattesa mobilitazione della popolazione delle regioni di Ben Gardane e Tataouine, che hanno soccorso e assistito spontaneamente i primi rifugiati in fuga dalla Libia, hanno destato un nuovo motivo d’orgoglio. A fianco della Mezzaluna Rossa tunisina si sono formati collettivi di solidarietà in tutto il paese. Medici, infermieri e studenti volontari sono accorsi per apportare il proprio contributo sull’onda dell’entusiasmo rivoluzionario. Con la fierezza per la nuova coscienza civile riconquistata con la rivoluzione, la Tunisia si è avviata verso una transizione democratica che tarda però a delinearsi.

Fissate inizialmente per fine luglio e slittate poi al prossimo 23 ottobre, le elezioni per l’assemblea costituente rappresentano una tappa importante di questo processo. Con esse emergeranno per la prima volta gli orientamenti politici della popolazione. È però difficile prevederne gli esiti visto che più della metà dei tunisini sarebbe ancora indecisa su chi votare tra gli oltre cento partiti politici che parteciperanno alla competizione elettorale. Tra coloro che hanno espresso la propria intenzione di voto, secondo un sondaggio di Al Jazeera, Rachid Ghannouchi del partito al-Nahda sarebbe il favorito con il 21%, seguito da Ahmed Nejib Chebbi del Partito Democratico Progressista (Pdp) con l’8%, e il Partito dei lavoratori comunisti tunisini con il 5%. Al-Nahda (in arabo “la rinascita”), è un partito islamista filo-democratico che propone una “via tunisina all’islamismo”. Un suo eventuale successo alle prossime elezioni potrebbe avere forti ripercussioni sul ruolo riservato all’Islam nella nuova costituzione tunisina. La religione maggioritaria del paese è un importante elemento identitario e un vettore di coesione e mobilitazione cruciale soprattutto in un periodo di crisi come quello attuale.

In questo clima i gruppi più liberali si sentono minacciati, temono un’interferenza eccessiva della religione nella loro libertà di espressione e nella politica del Paese. La pressione dei gruppi integralisti si è fatta sentire a più riprese con scontri, anche violenti, come quelli verificatesi il 26 giugno scorso presso la sala Afric'Arts di Tunisi tra un pubblico di intellettuali e artisti, e un gruppo di manifestanti che richiedeva l’annullamento della proiezione del film Ni Allah, Ni Maître della regista tunisina Nadia El Fani. Onde scongiurare altri conflitti nel corrente mese del Ramadan, lo stesso muftì della Repubblica di Tunisia, Othman Battikh, ha esortato tutti i ristoratori a rimanere chiusi fino alla rottura del digiuno serale. Una “misura preventiva” che sembra rientrare nel quadro più generale dello stato di emergenza tuttora in vigore nel paese.

Ci troviamo in un periodo di transizione, di vuoto istituzionale, in cui da un lato emerge una condizione di insicurezza, dall’altro tutto sembra possibile. Sullo slancio rivoluzionario, si continua a manifestare e a scioperare per reclamare più diritti sociali, ma con una tendenza a percepire l’esercizio di ogni forma di autorità come un abuso di potere e con una sorta di sfiducia generalizzata nei confronti delle élite. Si temono potenziali derive post-rivoluzionarie come l’imporsi di dogmatismi e di politiche securitarie, ma anche il perpetrarsi di un’instabilità politica e sociale deleteria per l’economia del paese. Le sfide che la nuova classe politica dovrà affrontare sono numerose, prime tra tutte la disoccupazione giovanile, le disparità regionali e la marginalizzazione economica e sociale di una buona fetta della popolazione. Si dovrà inoltre vigilare per combattere quel nepotismo che il vecchio presidente Ben Ali e la famiglia Trabelsi hanno incarnato per decenni, ma che rimane tuttora latente. Per rispondere a tutte le richieste avanzate, da quelle legate alle politiche del lavoro e alla giustizia sociale fino alla libertà d’espressione, sarà necessaria una coesione e un forte impegno da parte di tutte le forze politiche e sociali. Ci auguriamo che il populismo e le ideologie, siano esse di matrice religiosa o politica, non prendano il sopravvento sulle reali necessità del paese.