Chiunque arrivi a Napoli dall’autostrada si accorge presto che lo stabilimento Whirlpool è uno dei pochi siti industriali rimasto ancora attivo nell’ex quartiere industriale di San Giovanni. L'ho studiato dal punto di vista della sua composizione operaia alla fine degli anni Novanta, in occasione della mia tesi di dottorato. In quel periodo la fabbrica aveva quasi concluso un ricambio generazionale della sua forza lavoro grazie a un accordo specifico tra sindacato e azienda che prevedeva l’ingresso dei figli degli operai ormai prossimi alla pensione. All’epoca si producevano circa un milione di lavatrici l’anno.

Nel 2003 per la milionesima lavatrice ne venne prodotta una interamente nera: fu naturalmente un’occasione di festa e di orgoglio per una fabbrica dalle solide radici sociali, da sempre impegnata sul fronte della solidarietà attraverso il dinamismo delle organizzazioni sindacali presenti al suo interno.

Che cosa rappresentava la Whirlpool allora e che cosa rappresenta ancora oggi a Napoli? Non solo un importante bacino di occupazione – per quanto ridottisi gli addetti dai 650 di fine anni Novanta agli attuali 420 – ma anche la resistenza della Napoli industriale e operaia, un esempio molto positivo sul piano della contrattazione aziendale, e soprattutto un presidio democratico in una città un tempo fortemente industrializzata.

La Whirlpool di Napoli in questi anni è stata anche un’importante realtà sul piano delle iniziative culturali e sociali, grazie all’attività del suo Cral aziendale; e una rilevante presenza industriale in un territorio quotidianamente pervaso dalla disoccupazione, dall’irregolarità dei rapporti di lavoro e da fenomeni di criminalità diffusa.

Ma l’importanza di una fabbrica, la cui storia parte dai primi lavori di costruzione avviati nel 1957, va colta necessariamente al di là delle questioni di natura industriale e occupazionale. Per le grandi aziende è stato sempre così, ancora di più in contesti contrassegnati dalla penuria di investimenti. Qui iniziano a lavorare, tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta, giovanissimi operai e operaie (tra i 15 e i 20 anni), che dapprima vengono avviati al lavoro negli stabilimenti Ignis di Varese di Giovanni Borghi. È infatti Borghi che, beneficiando dei finanziamenti dell’intervento straordinario, costruisce la nuova fabbrica dopo avere acquistato una piccola impresa di elettrodomestici del napoletano. Nei primi anni la fabbrica, quando ancora molti componenti della lavatrice sono prodotti internamente, arriva a occupare 1.200 addetti.

Gli anni Sessanta sono gli anni della crescita, ma anche del conflitto sindacale, del superamento delle commissioni interne che, anche nel caso di questo stabilimento, sfocia nella nascita del Consiglio di fabbrica. Poi già all’epoca si verificano le prime fusioni nel settore degli elettrodomestici. La Philips rileva il gruppo Ignis tra 1969 e 1972, ma l’intenzione del gruppo olandese è quella di escludere dall’acquisizione proprio lo stabilimento di Napoli, considerato il più conflittuale tra quelli del gruppo. In realtà la solidità delle sue rappresentanze sindacali è il vero problema per i nuovi acquirenti. Tuttavia, proprio la capacità contrattuale e la solidarietà espressa da tutta la cittadinanza evitano la chiusura dello stabilimento.

All’inizio degli anni Novanta è la volta di Whirlpool. Lo stabilimento registra un importante accordo sindacale che garantisce un significativo aumento della produttività e investimenti ulteriori. Ciò rende possibile un processo di ringiovanimento della fabbrica con l’ingresso massiccio di molti figli degli operai prossimi alla pensione, o quasi: tra il 1986 e il 1998 si contano 326 assunzioni, principalmente tramite contratti di formazione e lavoro. Si tratta di giovani lavoratori, per quasi la metà diplomati e con una cultura del lavoro più attenta alle esigenze organizzative della fabbrica, ad esempio proprio in relazione al tema della produttività. Si tratta di un aspetto estremamente funzionale al raggiungimento di buoni risultati sul piano della contrattazione aziendale. Sono gli anni in cui la produzione cresce fino ad arrivare alla fatidica milionesima lavoratrice. Una situazione che beneficia delle buone performance nei mercati esteri, dall’Inghilterra passando per il Brasile, nel contesto di una diversificazione degli investimenti della multinazionale americana che mantiene la sede centrale del gruppo italiano a Cassinetta, in provincia di Varese, e così il resto degli altri stabilimenti (in anni recenti chiuderà solo quello di frigoriferi a Trento). Già in questo periodo le produzioni dello stabilimento slovacco rappresentano un potenziale concorrente, cui si aggiunge in seguito anche quello polacco. Oggi, nel mondo, la Whirlpool ha 8 stabilimenti dediti alla produzione di lavatrici.

Da diversi anni la fabbrica di Napoli era destinataria di un prodotto di alta gamma, la Omnia, che, considerando il costo del lavoro rispetto agli altri Paesi, giustificava la permanenza della sua produzione in Italia. Poi l’acquisizione negli ultimi anni del gruppo Indesit ha determinato un esito in parte prevedibile per le filiali dei grandi gruppi localizzate nel Mezzogiorno, le quali sembrano pagare un prezzo più alto in occasione dei processi di ristrutturazione. La Omnia è entrata, di fatto, in concorrenza con un altro modello di lavatrice di cui ormai condivide la piattaforma, l’Aqualtis, prodotto nello stabilimento marchigiano Indesit di Comunanza, mentre lo stabilimento Indesit di Teverola, in provincia di Caserta, è destinato a una produzione assai marginale (in termini di volumi) di piani cottura, con una drastica riduzione dell’organico.

Le piattaforme dei due modelli di lavatrici sono state unificate anni fa e la progettazione di un nuovo modello è tuttora in corso. Del resto l’accordo del 2018 sottoscritto dalla Whirlpool per il rilancio dello stabilimento di Napoli prevede proprio lo sviluppo di nuovi prodotti. Inoltre, come in molte altre vicende industriali, in Campania, come nel resto del Mezzogiorno e sempre di più nel resto del nostro Paese, il ricorso prolungato ai contratti di solidarietà da 5-6 anni a questa parte ha determinato, di fatto, la rinuncia da parte dell'azienda a nuovi investimenti, non tanto sullo stabilimento in sé quanto sul prodotto. Ecco allora che dalle 370 mila lavatrici prodotte nel 2017 si è passati alle 330 mila del 2018, rispetto a una capacità produttiva perlomeno doppia sulla base del numero di addetti ancora presenti.

La vicenda dello stabilimento di Napoli è la ripetizione di una rappresentazione che va in scena ormai da molto tempo. Il modello dell’“impresa irresponsabile” denunciato anni fa da Luciano Gallino è continuamente all’opera, ma altrettanto irresponsabilmente i governi nazionali non danno la giusta importanza alle politiche industriali e a un effettivo sostegno agli investimenti pubblici e privati nel settore industriale del nostro Paese. Stando così le cose è difficile dire per quanto tempo ancora potremo restare la seconda manifattura d’Europa, ma certo, e il caso Whirlpool sta lì a dimostrarlo, le cose non sembrano promettere bene.