Anche quando si affronta la grande questione dei cambiamenti climatici il caso italiano è piuttosto interessante, per diverse ragioni. Tra queste c’è senz’altro l’assenza di un partito ambientalista ben presente sulla scena politica, riconoscibile e riconosciuto. Si tratta di una peculiarità, soprattutto a voler guardare quanto accade in altri Paesi europei; ma non di una novità assoluta, se si pensa che i Verdi in Italia hanno avuto un certo peso elettorale soltanto a cavallo degli anni Ottanta-Novanta, sulla scia del disastro nucleare di Chernobyl e di alcuni referendum abrogativi (nucleare e caccia, in primo luogo). Tuttavia, da noi i Verdi non hanno mai sfondato alle urne e non sono riusciti a penetrare il tessuto sociale, apparendo anzi spesso come un soggetto marginale che avanzava istanze elitarie e/o secondarie. Inoltre, quasi tutti i partiti della Prima e soprattutto della Seconda Repubblica hanno rivendicato un’anima pseudo-ambientalista, il più delle volte senza meglio articolare una proposta politica. Persino la Lega ha provato a cavalcare quest’onda verde, chissà se nella convinzione di profittare di un abbaglio collettivo dovuto alla coincidenza cromatica del proprio simbolo e di quelli ecologisti.

L’assenza di un partito verde è confermata dalle ultime elezioni europee: mentre i Grünen diventavano il secondo partito in Germania, Les Verts il terzo in Francia e il Green Party il quarto nel Regno Unito, il partito ecologista italiano – Europa Verde – si è fermato al 2,32%

L’assenza di un partito verde nei fatti è facilmente confermata dai voti delle ultime elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo. In quell’occasione, infatti, mentre i Grünen diventavano il secondo partito in Germania (20,5% dei voti), Les Verts il terzo in Francia (con il 13,47%) e il Green Party il quarto nel Regno Unito (11,10%), la formazione ecologista presentatasi in Italia – Europa Verde – si è fermata al 2,32%, ben al di sotto della soglia del 4% che avrebbe consentito una rappresentanza a Strasburgo. In verità va detto, per assurdo, che un simile risultato non può essere giudicato negativo, a voler considerare che fino a un paio di mesi prima la Federazione dei Verdi nemmeno esisteva, e se si confronta il risultato con quello del «competitor» più diretto – La Sinistra – che ha ottenuto un ancor più misero 1,75%.

E va considerato che nel nostro Paese, piaccia o meno, la «sensibilità ecologista» è stata in gran parte assorbita dal Movimento 5 Stelle, soggetto politico che, soprattutto ai suoi albori, metteva le questioni ambientali al centro della propria agenda. Plausibile che, nonostante alcuni dietrofront piuttosto evidenti dei pentastellati, ancora molti elettori ambientalisti preferiscano dare il voto ai 5 Stelle dato il peso che, seppure assai ridimensionato rispetto a pochi anni fa, questo partito tuttora conserva.

 

[L'articolo completo pubblicato sul "Mulino" n. 5/19, pp. 731-738, è acquistabile qui]