Quando il lettore si accingerà a leggere questo articolo, le elezioni si saranno già tenute. Comunque saranno andate e qualunque sarà il governo che si starà formando, se si starà formando, le promesse della campagna elettorale cominceranno a evaporare. A prescindere dalla eventuale logora questione dei 100 giorni, probabilmente ci vorrà un po’ di tempo perché l’intero Paese ritorni alla realtà.

In quella fase sarà utile a chi dovrà governare riprendere il filo delle politiche messe inatto nella legislatura 2013-2017. La legislatura passata si era aperta in modo problematico con i primi segni di potenziale instabilità politica dovuta all’emergere dell’assetto tripolare che ora è conclamato. Di conseguenza, l’allora segretario del Partito democratico, era il 2013, dovette concordare con Berlusconi il sostegno al nuovo governo di Enrico Letta, sostegno successivamente ritirato dall’ex cavaliere nel novembre dello stesso anno. Le vicende che seguirono sono note e in un modo o nell’altro la legislatura è riuscita a giungere al suo termine naturale.

È stata una legislatura che, nonostante la potenziale instabilità politica, ha visto sul finire del 2013 l’avvio di una lenta ripresa dell’attività economica dopo la doppia recessione del 2009 e del 2012-primo semestre 2013. Molto si è discusso e si sta discutendo sulla attuale lentezza della crescita, discussione condizionata pesantemente da pregiudizi negativi o positivi nei confronti del governo e che non considera quali siano le condizioni di fondo, di lungo periodo, del nostro sistema economico.

Un sistema oberato da un elevato debito pubblico in termini di Pil (132%) e che inizia a essere appesantito da un rapido tasso di invecchiamento della popolazione non può attendersi di crescere nel futuro ai tassi sperimentati negli anni Ottanta e Novanta.
La nostra economia potrà sperimentare fasi di ripresa un po’ accelerata fintantoché non si sarà recuperato il terreno perso nella doppia recessione, ma successivamente sarà la crescita del prodotto potenziale a determinare il ritmo di espansione nel lungo andare, ammesso (e non concesso?) che la crisi non lo abbia ridotto non solo nel livello ma anche nella dinamica. In ogni caso, la crescita potenziale è pesantemente determinata dall’andamento della demografia.

 

[L'articolo completo, pubblicato sul "Mulino" n. 1/18, pp. 141-147, è acquistabile qui]