Ciò che davvero impressiona nella vicenda della sentenza europea sulla presenza del crocifisso nelle aule scolastiche è la paradossale inversione dei ruoli degli attori coinvolti. Il governo italiano rinuncia a difendere il valore costituzionale della laicità della Repubblica e la sacra libertà della scuola sostenendo che la croce, come vessillo dell’unica chiesa nominata nella Costituzione, andrebbe considerata un simbolo dello Stato. La conferenza episcopale italiana dichiara testualmente che il crocifisso  «non è solo simbolo religioso, ma anche segno culturale» e che la sua «esposizione nei luoghi pubblici è in linea con il riconoscimento dei principi del cattolicesimo come “parte del patrimonio storico del popolo italiano”, ribadito dal Concordato del 1984».
È dunque alla laica Corte europea che tocca ricordare ai cattolicissimi italiani che (traduco dal francese della sentenza) «il fatto che la croce abbia anche altre “chiavi di lettura non comporta la perdita della sua connotazione principale, che è religiosa».

Non vale la pena di commentare la grottesca strumentalità con la quale la classe politica di destra e di sinistra è compattamente insorta a difesa del crocifisso. Basterà citare l’autodefinizione di «nuovi crociati» da parte di esponenti della Lega, o la comparsa a Napoli di striscioni de La Destra che recitano, evangelicamente: «Stacchi il crocifisso, ti stacco le mani».
Qualche riflessione in più merita invece la posizione della Chiesa.
I vescovi che vogliono imporre il crocifisso nelle aule pubbliche sono infatti gli stessi che trovano del tutto naturale che chi vuole pregare – ad esempio –di fronte ai crocifissi monumentali ancora presenti nelle grandi chiese italiane (per esempio di fronte a quelli di Giotto e Brunelleschi in Santa Maria Novella a Firenze) debba spessissimo pagare un biglietto.  Insomma, quando i vescovi definiscono il crocifisso una parte del patrimonio culturale non fanno tattica: dicono quello che pensano davvero.
E, come storico dell’arte, questo mi preoccupa molto, perché significa che non sentiamo più viva (e dunque attiva, controversa, tagliente) la nostra eredità culturale. La neutralizzazione museale dell’arte religiosa non può che preludere ad un suo progressivo silenzio, anche sul piano culturale.
Un altro esempio fiorentino: perché nessuno (né in curia, né in comune, né in soprintendenza) si scandalizza che alle Cappelle Medicee le tombe dei granduchi Cosimo II e Maria Maddalena d’Austria siano nascoste da un osceno bookshop, coperte da pile di scatole, ingombre di scale e di altri oggetti d’uso? Non avvertendo più quel luogo come sacro né in senso religioso (in quanto sepolcro e in quanto chiesa), né in senso storico (è il pantheon dei Medici, alle cui spalle la città ancora campa), abbiamo anche smesso di sentirlo bello. E lo abbiamo deturpato, sostanzialmente perdendolo alla nostra coscienza religiosa, civile ed estetica.
Come cattolico, poi, la dichiarazione della conferenza episcopale mi angoscia ancor più profondamente. San Paolo scrive che «noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani» (1 Cor, 1, 23). Com’è possibile che ci siamo ridotti a lottare per imporre con la forza dei regolamenti di epoca fascista la presenza nelle scuole di «un segno culturale … parte del patrimonio storico del popolo italiano»? Come si può ridurre la scandalosa follia d’amore universale della Croce a valori – pur importanti – come la cultura, la storia e l’identità di un singolo popolo? È questa la missione della Chiesa?
Raccontare le polemiche di questi giorni come uno scontro tra credenti e atei sarebbe profondamente sbagliato. Lo scontro è piuttosto tra due diversi schieramenti trasversali: tra chi (cristiano, credente in un altro dio, o ateo) sente terribilmente vivo e attivo il segno del crocifisso (e dunque non lo vorrebbe imporre o subire), e chi lo avverte come una suppellettile di valore storico da consegnare agli ‘operatori dei beni culturali’.
Nel Don Milani che toglie la croce dalla scuola di Barbiana l’amore per il Vangelo e l’amore per la Costituzione sono una cosa sola.