Il presidente uscente Enrico Rossi e il suo partito, il Pd, hanno dimostrato anche questa volta di non avere competitori in grado di sfidarli. Non è stata però una vittoria trionfale, bensì ottenuta col passo del gambero, lasciando per strada centinaia di migliaia di voti rispetto alle elezioni precedenti. «Un risultato buono, direi soddisfacente», si è limitato a definirlo lo stesso Rossi, mentre ribadiva che la Toscana nei prossimi cinque anni resterà ancorata «saldamente a sinistra».

La legge elettorale prevede che il presidente sia eletto con un sistema maggioritario con eventuale ballottaggio se nessun candidato ottiene al primo turno almeno il 40% dei voti. È ammesso il voto disgiunto; è stato ridotto a 40 il numero dei consiglieri; è stata introdotta la possibilità di esprimere due voti di preferenza e viene lasciata alle liste la possibilità di presentare un listino regionale bloccato. La legge fissa inoltre sia soglie di sbarramento differenziate sia un premio di maggioranza, anch’esso differenziato (24 consiglieri se il candidato ottiene almeno il 45% dei voti, 23 se ottiene almeno il 40% o se vince al ballottaggio).

La competizione elettorale vedeva in campo 7 candidati per 10 liste.

Nel Pd la riconferma di Rossi era stata contestata dai pasdaran renziani che avrebbero voluto emarginare la componente più in continuità con la cultura politica rossa e della quale Rossi è riferimento indiscusso. Ma era poi arrivata l’investitura da parte di Renzi, che aveva messo tutti a tacere.

Peraltro, Rossi non ha mancato di ribadire che lui non è né filorenziano né antirenziano e resta un «comunista democratico, berlingueriano».

Il fronte dell’opposizione di centro destra si presentava molto frammentato, al termine di una campagna elettorale caotica e litigiosissima che alla fine ha prodotto tre candidati diversi, uno per Forza Italia, uno per i centristi di Ncd-Udc e uno per la Lega Nord coalizzata con FdI-AN. Il candidato della Lega è stato paracadutato direttamente dalla Lombardia.

Il M5S ha corso come sempre da solo; e i diversi frammenti della “sinistra critica” dopo essere usciti (a malincuore) dalla maggioranza di governo hanno presentato, come candidato di una lista molto identitaria, un leader del movimento per l’acqua pubblica.

Il primo rilevante dato uscito dalle urne è stato il calo della partecipazione elettorale, che in Toscana si è fermata 4 punti sotto la media complessiva delle 7 regioni andate al voto: 48,3%, quasi 12 punti sotto la media delle precedenti regionali (60,7%).

Per quanto riguarda il voto alle liste, tutte, eccetto la Lega Nord, hanno perso molti consensi rispetto alle precedenti elezioni.

Il Pd, con poco più di 600 mila voti (46,3%) si è confermato di gran lunga il primo partito, ma ha perso più di 400 mila voti sulle europee. E anche il successo di Rossi è stato assai sottotono rispetto al 2010, quando vinse con oltre un milione di voti pari, al 59,7%, prendendo 130 mila voti in più delle liste che lo sostenevano. Questa volta si è fermato al 48,0%, che gli ha comunque largamente garantito l’elezione al primo turno, ed ha preso solo 20mila voti in più delle due liste che lo sostenevano (oltre al PD, una lista di socialisti, ex dipietristi e centristi rimasta largamente al di sotto del 3%).

La lista a sinistra del Pd (Si) ha ottenuto il 6,3% e 83 mila voti, 30 mila in meno di quanto ne hanno avuti complessivamente, alle europee 2014, la Lista Tsipras e i Verdi.

Sul fronte del centrodestra, Forza Italia si è fermata all’8,5% con 112 mila voti, la metà esatta di quanti ne aveva presi alle europee; e i centristi di Ncd-Udc sono di fatto scomparsi (16 mila voti, 1,2%, contro i quasi 73 mila del 2010).

La Lega Nord è stata l’unica lista che ha aumentato, e non di poco, i suoi voti: ne ha avuti circa 215 mila (16,2%), vale a dire più di 4 volte quelli presi alle europee (circa 49 mila) e più del doppio di quelli delle regionali 2010, quando si era fermata a 98 mila.

Il M5S ha perso lo scontro con la Lega quale primo sfidante del Pd: ha avuto infatti il 15,1% e 200 mila voti, 115 mila in meno di quelli presi alle europee.

Dal voto regionale toscano esce dunque un quadro di stabilità in termini di governo, assicurata dalla legge elettorale, ma anche di crescente scollamento tra la società, che sempre più si sottrae al voto, e la politica. Il partito egemone resta tale, per debolezza degli avversari più che per meriti propri. Il Pd è diviso e litigioso all’interno e non ha una forza elettorale omogenea sul territorio.

Il presidente Rossi dà l’impressione, nelle prime interviste postelettorali, di voler far pesare il suo successo dentro il Pd non solo a livello regionale. Non pensa, e l’ha detto, che la linea renziana dello sfondamento elettorale sul centrodestra possa essere vincente; e promette di dare battaglia per porre all’attenzione il tema di un partito che sia vicino «ai problemi di chi lavora».