ANDREA PLAZZI Nel 2022 Diabolik ha compiuto 60 anni, tu ne fai 20 di collaborazione: nel 2002 hai iniziato con un progetto molto particolare.

GIUSEPPE PALUMBO Particolare, sostanziale e fondativo, aggiungerei, perché quel progetto, il remake dello storico numero uno della serie, Il re del terrore, non solo fu realizzato in una modalità molto sofisticata, ma a distanza di vent’anni conta già numerose ristampe e per me, nello specifico, è stato l’inizio della collaborazione più prolifica e longeva che abbia mai avuto con un editore. Sofisticata perché in fase di sceneggiatura Alfredo Castelli ha sottilmente lavorato al recupero della storia originale firmata dalle sorelle Giussani e, di fioretto, ha strutturato il materiale narrativo correggendo il tiro dove serviva, arricchendolo e rimodulandolo in funzione di una nuova e più ricca struttura di pagina (dall’originale formato pocket di due vignette per pagina, si era passati a un formato libro A4 con almeno cinque o sei vignette) che portava a un ritmo di lettura più variegato e a un respiro più ampio. Le possibilità offerte da questa nuova struttura della pagina mi hanno permesso di sviluppare un disegno molto dettagliato e spettacolare; allo stesso tempo, ho potuto sviluppare una grammatica visiva modulando vignette verticali in presenza di scambi di battute serrate o sequenze molto rapide, e vignette orizzontali dove la sequenza fosse più spettacolare, d’azione (una fuga, per esempio), quasi a simulare un cinemascope. Il protocollo sviluppato per questa storia l’ho poi utilizzato in tutti i successivi «speciali» della serie Il Grande Diabolik.

AP Oltre a Diabolik, hai scritto e/o disegnato fumetti per Sergio Bonelli, una biografia di Pasolini, progetti di comunicazione a cavallo tra fumetto, illustrazione, videogioco (Aleametron – Il mistero del cambioEternArtemisia per Palazzo Strozzi, su richiesta dell’allora direttore James Bradburne), ripetuti omaggi a poeti lucani (sei originario di Matera), esperimenti di «graphic essay», fascinazioni multimediali post-surrealiste (il progetto Action30), un libro su Pablo Escobar. Per citare solo alcune delle tue produzioni degli ultimi anni. «Spaziare a 360 gradi» non rende l'idea: indipendentemente da contenuti, temi e ricorrenze, l'unico filo conduttore sembra essere il fumetto come tuo linguaggio d'elezione.

GP Certamente. Tutti i progetti appena citati sono solo una parte dei tanti che amo sviluppare parallelamente alle mie collaborazioni di stampo seriale, «mainstream», allo scopo di mostrare le infinite possibilità offerte dal linguaggio del fumetto, che amo proprio per questo. Dalle mie letture di stampo neuroscientifico, mi sto formando l’idea che la coscienza «informi» la nostra idea del mondo attraverso immagini (che non sono puramente visive, ma contaminate da input diversi) mettendole in sequenza, né più né meno che un fumetto quindi, o tutt’al più di un rudimentale film. La lettura di un fumetto è fortemente empatica e richiede al lettore una enorme partecipazione in termini di «costruzione» del senso di una storia, come se la coscienza del lettore ne venisse risucchiata e trovasse in quelle immagini in sequenza un playground ideale. Aggiungo che essendomi formato come autore negli anni Ottanta, quando il dibattito tra critica e autori stava spostando l’asse creativo dei fumetti dal puro intrattenimento, o dalla satira, verso nuovi confini d’indagine, non posso che coerentemente restare in quel solco: fu proprio quel dibattito a trasformarmi da comune appassionato ad autore.

AP Come fa un personaggio inventato nei primi anni Sessanta a essere popolare nel 2023?

MARIO GOMBOLI Diabolik è nato bene. In pochi episodi si è costruito una personalità ricca e complessa, «vera». Inoltre, è stato subito affiancato da figure altrettanto valide, Eva Kant in particolare. Personaggi di questo tipo hanno potuto evolvere senza contraddirsi, e così mantenere alto l’interesse dei lettori.

Diabolik è nato bene. In pochi episodi si è costruito una personalità ricca e complessa, “vera”. Inoltre, è stato subito affiancato da figure altrettanto valide, Eva Kant in particolare

AP In particolare, come avvenne la transizione – creativa ed editoriale – dalla gestione delle sorelle Giussani, le creatrici, a quella attuale?

MG Senza soluzione di continuità, almeno dal punto di vista creativo. Quando nel 1999 Luciana Giussani mi passò il testimone, ci conoscevamo – e insieme avevamo lavorato – da più di trent’anni. Sapeva benissimo come vedevo Diabolik e come intendevo portarlo avanti, nel rispetto della linea tracciata da sua sorella e da lei. Dal punto di vista editoriale, invece, ho potuto finalmente dar vita a quelle idee che da troppi anni giacevano nel cassetto, trascurate perché «tanto Diabolik va benissimo così».

AP Come nasce oggi una storia di Diabolik? Come si sceglie un argomento?

MG Come da sessant’anni a questa parte: da stimoli come un film, un libro, un fatto di cronaca o il suggerimento di un lettore. Ma una regola non scritta prevede che almeno una volta l’anno ci sia una storia dedicata a un problema sociale (stiamo lavorando un soggetto sull’immigrazione clandestina); una con Ginko vincente (o almeno Diabolik a bocca asciutta); una con Eva particolarmente attiva (e magari cattiva)… per il resto si naviga a vista.

Una regola non scritta prevede che almeno una volta l’anno ci sia una storia dedicata a un problema sociale; una con Ginko vincente; una con Eva particolarmente attiva

AP Com'è nata la collaborazione?

MG Tanti, troppi anni fa. Nel 1966 avevo bisogno di soldi per l’università e l’amico Alfredo Castelli mi suggerì di provare a scrivere per Diabolik, dove lui già pubblicava un personaggio che si chiamava «Scheletrino».

Così feci, e cominciò una collaborazione che non si è mai interrotta del tutto, neppure quando mi sono dedicato ad attività distanti dal fumetto. Forse per questo, prima di lasciarci, Luciana Giussani mi lasciò il compito di proseguire «la sua avventura» (parole sue).

GP Complice Alfredo Castelli. Negli anni Novanta avevo collaborato con lui per la serie «Martin Mystère» di Sergio Bonelli Editore. Alle soglie del Duemila, mi propose di collaborare a un progetto di «remake» del primo numero di Diabolik. Mario Gomboli, suo sodale di vecchia data, mi chiese di fare qualche studio del personaggio da mostrare alla signora Giussani. Una volta approvati gli studi, l’avventura prese il suo avvio e a distanza di vent’anni vedo il futuro ancora molto stimolante.

AP Il «Diabolik di Palumbo» era e resta molto personale, riconoscibilissimo ma ben distinto dall'immagine tradizionale del personaggio. Come fu accolto dal pubblico?

MG L’esordio di Palumbo, con il remake del numero uno, divise i lettori in due fazioni opposte e quasi equivalenti. Poi arrivarono gli episodi dedicati all’inedito passato di Eva e Ginko, che mostrarono le qualità interpretative del disegno di Palumbo e la sua coerenza con lo spirito noir delle sorelle Giussani. E le perplessità dei lettori scemarono sino a ridursi, dopo più di vent’anni, a livelli insignificanti. Come avevo previsto.

GP Sono domande a cui un autore non dovrebbe rispondere. Io ho sempre dato il meglio che potevo nel totale rispetto della migliore tradizione grafica del personaggio e continuo a farlo. E questo, a me autore, basta. L’accoglienza del pubblico? Mi è sempre sembrata entusiasta, ma allo stesso tempo mi è noto, per esempio dai social, quanto il mio modo di disegnare sia, in odor di eufemismo, oggetto di dibattito. E mi sembra anche giusto che sia così.

Mi piace pensare di aver portato a leggere Diabolik anche amanti del fumetto che non lo avevamo mai letto prima, ma è solo un momento narcisistico. Poi passa.