Cara rivista «il Mulino»,

è da qualche tempo che non ti scrivo. Se oggi ho deciso di farlo è perché sono stato particolarmente colpito dal recente referendum abrogativo in cui non si è raggiunto il quorum. Non voglio parlare del quesito, né degli esiti, se sia giusto o meno stabilire una soglia minima di votanti perché il risultato sia valido, se sia politicamente o eticamente corretto invitare all’astensione nel caso dei referendum o sia invece scorretto, o addirittura configuri un reato farlo in caso di elezioni politiche. Tutte questioni per me troppo complesse. Voglio invece raccontarti di una questione di dettaglio, che mi pare però evidenziare un grande problema.

Ho degli amici in Italia, e fra questi alcuni che lavorano nelle amministrazioni comunali. Da uno di loro, responsabile dei servizi elettorali in un comune di una piccola isola, ho appreso alcuni particolari del suo lavoro; in specie quanto fosse gravosa, almeno sulla carta, la predisposizione degli spazi fisici per la propaganda elettorale. Incuriosito, mi sono fatto mandare la circolare della prefettura che, su disposizione del ministero dell’Interno elencava i partiti politici, i movimenti, i gruppi parlamentari a livello nazionale ed europeo, e i promotori del referendum, che avevano diritto ad affiggere manifesti, a distribuire volantini, a fare comizi. Questo l’elenco, contenuto in un documento di 10 pagine:

– 13 liste hanno conseguito almeno un seggio in Senato alle ultime elezioni;

– 9 sono i gruppi parlamentari al Senato, incluso il gruppo misto, di cui fanno parte 7 componenti;

– 10 sono le liste che hanno conseguito seggi alla Camera dei Deputati nelle ultime elezioni nelle circoscrizioni nazionali;

– 6 sono le liste che hanno conseguito seggi alla Camera dei Deputati nella circoscrizione Estero;

– 1 la lista che ha conseguito un seggio in Valle d’Aosta;

– 10 sono i gruppi parlamentari alla Camera dei Deputati;

– 1 è il gruppo misto, costituito da 6 componenti politiche;

– 6 sono i partiti o gruppi politici che hanno ottenuto seggi al Parlamento Europeo;

– 1 infine il rappresentante delle Regioni che hanno richiesto il referendum.

Questo alla data del 25 febbraio 2016. In tutto 60 (sessanta) partiti, gruppi, liste o comunque rappresentanti politici, che avevano diritto, previa presentazione di domanda, a un proprio spazio fisico per l’affissione della propaganda, e alla nomina di un proprio rappresentante presso i seggi elettorali.

Ho pensato a uno scherzo, così ho verificato. La circolare c’è, emanata dalle prefetture su calcoli del ministero dell’Interno. Per fortuna, ha aggiunto il mio amico, già si sapeva che, a causa della propaganda per l’astensione, il referendum sarebbe fallito. Quindi pochi hanno fatto domanda, altrimenti il comune avrebbe dovuto dirottare quasi tutti i suoi impiegati all’ufficio elettorale per organizzare tabelloni per la propaganda.

Certo si resta ammirati per la grande capacità delle vostre amministrazioni di tener dietro a queste complicate cose, ma non si può fare a meno di osservare che gran parte del lavoro svolto dal ministero dell’Interno, dalle prefetture, dagli uffici elettorali degli oltre 8.000 comuni è stata sprecata, almeno in parte, in altre parole che si è trattato di un sovraccarico di lavoro non necessario.

Mi sono chiesto allora a cosa fosse dovuta questa proliferazione di liste, gruppi, partiti; non riuscendo a trovare risposta ho consultato un mio amico politologo, che insegna negli Usa ma è grande esperto del sistema politico italiano. Mi ha detto che nel Parlamento italiano cambiare casacca è normale, e dunque che la mobilità dei parlamentari tra partiti e schieramenti è particolarmente elevata. I movimenti sono tanti che è molto difficile calcolarne l’entità. Alcuni preferiscono conteggiare i cambi di casacca, e pare che a gennaio 2016 fossero già quasi 350. Altri sostengono che, poiché parecchi parlamentari hanno cambiato più volte casacca, è preferibile conteggiare i parlamentari, e in questo caso, più o meno alla stessa data, si avrebbe una cifra di 235.

Questa notizia mi ha turbato, per due motivi. Il primo è che nel sistema rappresentativo statunitense tutto ciò sarebbe impensabile. Il nostro sistema è semplice: vi sono due partiti, il repubblicano e il democratico. Il primo è colore rosso, il secondo è blu. In questo modo è difficile confondersi. Ho pensato che invece in Italia fosse la molteplicità dei colori a confondere i parlamentari. Nella cosiddetta prima repubblica tutto era più chiaro: la Dc aveva il bianco, il Pci il rosso, i repubblicani il verde, i neofascisti il nero. Invece nella cosiddetta seconda repubblica i colori si sono confusi: il Pd ha i tre colori della bandiera italiana, i cinque stelle hanno il giallo e l’azzurro, la Lega ha il verde, come gli ecologisti, insomma tutti i partiti hanno qualche colore in comune. Sarà questo a confondere i parlamentari? Perché la confusione – ho argomentato con il mio amico politologo – è gravida di conseguenze negative. Chi cambia casacca corre il rischio di essere abbandonato dai suoi elettori e di non essere rieletto.

La sua reazione mi ha un po’ umiliato. Sui colori si è messo a ridere, giudicando infantile la mia spiegazione. E in quanto alla rieleggibilità mi ha spiegato che molti parlamentari cambiano casacca, e anche più volte, proprio per essere rieletti. Gli ho chiesto allora come ciò fosse possibile, ed egli, con profusione di argomenti tecnici e con dovizia di particolari, mi ha spiegato molte cose, che qui sintetizzo nel modo in cui le ho comprese. Pare dunque che il sistema elettorale italiano sia stato modificato ormai da qualche tempo, in modo tale che non sia più l’elettore a scegliere il proprio rappresentante. L’elettore vota la lista di partito, la quale ottiene un certo numero di rappresentanti. Vanno in Parlamento quelli, corrispondenti al numero di seggi ottenuti, che si trovano ai primi posti nella lista. Se ne sono eletti 4 saranno i primi 4, se ne vengono eletti 6 saranno i primi 6. Sono i partiti che scelgono l’ordine di lista. Così, anche se gli elettori danno le preferenze, i più votati, per essere eletti, devono comunque trovarsi ai primi posti della lista, altrimenti non entrano in Parlamento. Pare che questo sistema sia stato pensato per garantire la governabilità, perché tutti i rappresentanti eletti sono fedeli del leader di partito, il quale quindi, in caso di vittoria, si garantisce che nessuno possa cambiar casacca. Ed è stato pensato originariamente – mi ha detto – non da uno scienziato della politica, ma da un parlamentare di cui non ricordo il nome, che di professione faceva l’odontotecnico. Ora questo è molto bello, perché è la realizzazione del sogno americano in terra italiana, così ho pensato. Immagino questo parlamentare, che da giovane sognava di fare lo scienziato della politica, costretto magari dai suoi genitori a studiare da odontotecnico per avere un lavoro più remunerativo, che una volta in Parlamento realizza il suo sogno e pensa di passare alla Storia come colui che ha risolto l’annoso problema della non governabilità del sistema politico italiano.

Perché allora sono così tanti i cambi di casacca? Il mio amico mi ha risposto che c’è un difetto intrinseco nel sistema. Proprio perché si viene eletti in quanto scelti dal leader, le sorti dei parlamentari sono legate a doppio filo a quelle del capo. Se queste cominciano a declinare, e nella politica moderna basta un sondaggio, o la misura del gradimento o della popolarità, o un test di fiducia, allora ecco che alcuni parlamentari si riposizionano. E, in un Parlamento in cui in una Camera, al Senato, non è venuta fuori una maggioranza stabile, così come aveva programmato il parlamentare autore della riforma, il governo è soggetto a continui rischi, per cui pochi voti sono sufficienti a metterlo in minoranza.

Il mio amico si è poi addentrato nelle proposte di riforma sulle quali ci sarà un altro referendum a ottobre, ma non ho capito quasi nulla.

Ora ti chiedo, cara rivista: da voi sarà mai possibile coniugare governabilità e rappresentatività, garantire cioè che la volontà degli elettori sia rispettata e che allo stesso tempo si possano avere governi stabili? E allo stesso tempo evitare il malcostume dei continui cambi di casacca che incrinano il rapporto di fiducia tra i cittadini e la politica? Tu e i tuoi intellettuali avete qualche idea in proposito? Scusami per le mie domande ingenue, ma vista dagli Usa la politica italiana è proprio strana.

Un caro saluto dal tuo affezionatissimo e anziano lettore americano.

 

[Lettera firmata]