«Se il mare, alzandosi di pochi metri, ricoprisse quel golfo di terra che è la valla padana, l’Italia sarebbe una sola e grande montagna». Così scriveva nel 1919 Meuccio Ruini in La montagna in guerra e dopo la guerra, riflessione citata in un articolo di Piero Bevilacqua pubblicato da «il manifesto» il 3 settembre 2020.

Meuccio Ruini era un grande esperto di territorio, figura eminente nel ministero dei Lavori pubblici, attivo già nel primo Novecento, poi ministro e membro dell’Assemblea costituente dopo la caduta del fascismo. In Italia, spiega Ruini con un linguaggio d’antan sorprendentemente attuale per contenuti e prospettiva, non vi è solo la questione Nord-Sud, ma anche la «questione montanara»: accanto ai problemi di latitudine vi sono quelli di altitudine. Ruini suddivideva l’Italia in due Paesi: Padania e Appenninia. La prima, caratterizzata appunto dalla presenza pervasiva dell’Olanda italiana, quell’eridania che fu la culla più fertile d’Europa e ora, dopo un solo secolo, è tra le terre più inquinate e avvelenate del vecchio continente. La seconda, l’Appenninia, quasi del tutto priva di ampie zone pianeggianti se non nel tavoliere pugliese e dove «sul orlo tirrenico qualche valle men corta accolse civiltà gloriosissime», «potentemente signoreggiata» dalla presenza dell’Appennino, e da clima, abitabilità, comunicazioni e modi di vita che ne sono la cifra materiale e simbolica.

Le Alpi – barriera protettiva che ha reso possibili la fertilità e l’autonomia della valle padana – sono state un elemento cruciale per le regioni del Nord, ma non hanno marcato allo stesso modo dell’Appennino le terre circostanti. L’Appennino, continua Ruini, non è benefico alla terra che ne trae il nome, contrariamente a quanto lo è l’Alpe per la Padania. Ma proprio le esternalità positive dell’Alpe hanno creato la separazione tra monte e piano che caratterizza le regioni del Nord. L’Alpe «protegge» ma «separa», proprio perché ha creato una terra, la valle padana, fertile e protetta, quindi autonoma. L’Appennino, con i suoi 1.500 km di spina dorsale del Paese, invece «irradia» le terre circostanti, le plasma nei ritmi economici e nei modi di vita. Nonostante queste differenze, Alpe e Appennino hanno problemi comuni, che si presentavano, agli occhi di Ruini, nella povertà e nell’economia di sussistenza. Ma anche elementi di valore distintivi, esemplificati dall’orgoglio e dalla capacità di armonizzare le differenze, nell’essere terre di passaggio e confine al contempo.

Differenze e somiglianze, quelle tra monte e piano, che non devono far dimenticare le zone collinari, i bassi monti coltivati e abitati, e l’intrecciarsi di zone pianeggianti, di cittadine e di montagne, nello stesso territorio, con anche sbocchi al mare. Tipi di montagne e di pianure, intersecati con città medie e piccole, colline e borghi, cittadine costiere che si riempiono d’estate e si svuotano d’inverno, campagne produttive in spopolamento, conche e fondivalle industrializzati, distretti industriali in crisi. È il «policentrismo» del nostro territorio nazionale: dimensione che contraddistingue anche quei luoghi che rimandano a un’idea di omogeneità e uniformità (Riabitare l’Italia, a cura di A. De Rossi, Donzelli, 2018; Manifesto per riabitare l’Italia, a cura di D. Cersosimo e C. Donzelli, Donzelli, 2020).

La valorizzazione del policentrismo richiede politiche di connessione tra territori. Politiche capaci di generare mercati, reti e infrastrutture, forme di remunerazione dei servizi, strategie demografiche, filiere economiche. L’Italia è un Paese di sistemi territoriali policentrici, metromontani e metrorurali, che congiungono senza soluzione di continuità le diversità ambientali e culturali in una ragnatela di interdipendenze e flussi, umani, ecosistemici e logistici. Se letto attraverso queste lenti, l’intero Paese appare come il mosaico di una geografia policentrica composta da sistemi territoriali «rugosi». Spesso, però, le politiche separano sulla base di confini che hanno natura amministrativa, in ossequio a criteri disegnati dai centri o in funzione della ricerca del consenso politico, e solo raramente seguono le interdipendenze funzionali del policentrismo e le strategie di sviluppo degli attori che vivono e lavorano all’interno di quei confini (F. Barca, Confini, in Manifesto per riabitare l’Italia, cit., pp. 97-102).

 

[L'articolo completo è pubblicato sul "Mulino" n. 6/20, pp. 970-976. Il fascicolo è acquistabile qui]