Quando si tenne il referendum che determinò una svolta in senso antiproporzionale del sistema elettorale italiano, la cosiddetta Prima Repubblica era in agonia. Le elezioni del 1994, le prime con un sistema elettorale fortemente maggioritario, ne certificarono il decesso. Oggi, quasi vent’anni dopo, non solo sembra altamente improbabile concludere una lunghissima fase di transizione verso una Seconda Repubblica che non si è mai potuta compiere (tanto che la stessa espressione «Seconda Repubblica» è da considerarsi impropria, perché una riforma costituzionale che ne sancisse la nascita non vi fu mai). Ma anzi le prospettive di un ritorno al proporzionale sembrano più che mai concrete.

Sul punto si è espresso con nettezza Romano Prodi, con un intervento che ci piace riprendere. «L’ondata degli scandali ha fatto scomparire dalle prime pagine dei giornali il problema della riforma elettorale. Prima che esso ritorni e il dibattito entri in una fase operativa,  è opportuno fare alcune telegrafiche osservazioni sui principi generali a cui una utile legge si deve attenere. Anche se nelle bozze presentate la confusione regna ancora sovrana, l’accordo tra i partiti sembra prevedere un sostanziale ritorno al proporzionale, con alcune variazioni marginali sul tema (quale ad esempio una indefinita soglia di sbarramento di cui non è stata nemmeno precisata l’altezza). L’indicazione del premier è una delle altre proposte che non servirà a nulla perché, inserita nel sistema proporzionale, non può servire a nulla.

L’accordo tra i partiti sulla bozza presentata era abbastanza prevedibile, perché in questo modo la loro forza viene protetta. E la scelta sul governo viene rinviata a dopo le elezioni, in modo da tener conto il meno possibile della volontà degli elettori. Ritorna quindi la prospettiva dell’ingovernabilità della prima repubblica, resa ancora più probabile dalla moltiplicazione e dall’ulteriore frammentazione dei partiti stessi.

Nell’esaminare queste proposte e nel leggere le mille sparse dichiarazioni della maggioranza degli esponenti politici, il vero nemico pare essere il bipolarismo, cioè proprio il metodo elettorale che meglio conferisce stabilità ai sistemi democratici. Come se i problemi recenti dell’Italia fossero dovuti al bipolarismo e non al mancato compimento del bipolarismo stesso. Proprio perché si voleva completare il bipolarismo la proposta referendaria era stata sostenuta da una volontà popolare imponente e spontanea.

Di questo non sembra si voglia tener conto. In questo modo si finirà con il pagare un prezzo ancora più grande di quello che si è pagato in passato.»

 

[L’intervento è disponibile al sito www.romanoprodi.it, che ringraziamo per la concessione a riprodurlo integralmente]