Il Partito democratico che cambia. Con le primarie dello Stato di New York si è conclusa la stagione di selezione dei candidati in vista delle elezioni di mezzo termine di novembre – nelle quali si rielegge la Camera dei rappresentanti, che resta in carica soli due anni, un terzo del Senato e 36 governatori. Molte cose e personaggi sono già finiti sotto le luci delle ribalta ma vale la pena di fare un riepilogo di quanto è successo in una stagione dalle molte sorprese. Se queste diverranno scossoni politici lo diranno però solo le elezioni vere.

È l’anno delle donne. I seggi alla Camera sono 435 e in 211 gli elettori troveranno una candidata, quelli del Senato sono 35 e le donne candidate 18, mentre le potenziali governatrici sono 17. Difficile ce la facciano tutte, ma il numero di elette crescerà sensibilmente. Allo stesso modo il numero di afroamericani, ispanici, asiatici eletti dovrebbe essere più alto che in passato, a livello nazionale così come a livello locale. Alcune sfide potrebbero rompere due o tre tabù allo stesso momento, come quella per il governatorato della Georgia, dove la candidata democratica è la nera Stacey Abrams, a sinistra dei colleghi democratici maschi bianchi che hanno dominato la politica del Partito fino a oggi. Le prossime assemblee legislative federali e statali e le governor’s mansions saranno insomma più simili alla società americana: in Georgia i non bianchi erano il 29% nel 1990, sono il 40% oggi.

La sinistra americana è viva e vegeta e assesta un duro colpo ai moderati democratici. Ma l’establishment del Partito non è affatto morto. L’esempio più clamoroso di questa tenuta del centro di potere del Partito è il trionfo di Andrew Cuomo a New York. Sfidato da sinistra dall’attrice Cynthia Nixon, Miranda di Sex & the City, il governatore uscente stravince anche a Brooklyn, perde poche e spopolate contee e mostra come, su territori grandi e con molti elettori, il controllo della political machine, la gestione del potere, le relazioni, combinate con diverse politiche progressiste (il salario minimo, controlli sulla vendita d’armi, l’aumento dei posti gratuiti al college) siano ancora un asset fondamentale. Nel distretto di Alexandria Ocasio-Cortez, che ha naturalmente sostenuto Nixon, Cuomo vince con il 68%. Al contempo, le sconfitte brucianti per un gruppo di democratici che a Albany (la capitale dello Stato) avevano votato e cooperato con i repubblicani, segnalano come lo spazio per la bipartisanship, specie quella fatta di accordi poco trasparenti, si siano ridotti di molto. Si tratta di un cambiamento radicale della politica degli Stati Uniti e pur non essendo una novità, in un sistema bipartitico in cui tanto pesano l’equilibrio dei poteri a livello federale e statale, la polarizzazione delle assemblee legislative può essere un problema colossale. Lo sa bene Obama, che negli ultimi due anni di presidenza non è riuscito a far approvare nessun provvedimento significativo. Gli omaggi al senatore John McCain, della generazione che sapeva ascoltare e collaborare con gli avversari, erano anche omaggi a una figura che cercava compromessi degni.

Non stiamo assistendo a una valanga socialista: a New York ha vinto anche la Democratic socialist Julia Salazar, candidata al Senato locale. Ma nelle scorse settimane nel Rhode Island, la governatrice uscente Gina Raimondo, che pure non è popolarissima, ha sconfitto gli sfidanti di sinistra. Stessa cosa in New Hampshire, dove, non sostenuto dal padre, correva anche Levi Sanders, figlio di Bernie (che ha preso l’1,8%).

Stiamo indubbiamente assistendo a un ricambio generazionale tra i democratici. Una serie di eterni rieletti è saltata in queste primarie e sono emerse molte facce giovani (e quindi anche diverse come l’America di oggi). Questi giovani hanno posizioni più di sinistra dei loro predecessori su molti temi, dalla Sanità pubblica, al costo dell’università. Non è però – come avviene per i Democratic socialists –, una rivolta ideologica, ma in sintonia con il vissuto di una generazione dedita alla politica dopo la devastante crisi del 2008, che ha dovuto mettere in discussione molte certezze della generazione precedente sulla solidità del sogno americano e, ad esempio, convive e è preoccupata, dal cambiamento del clima.

Per il Partito democratico si presenta una sfida difficile ma entusiasmante: riuscire a favorire il ricambio generazionale senza una resa dei conti feroce. Alcune figure nazionali emergenti o più note possono accompagnare questa operazione – le senatrici Elizabeth Warren e Kamala Harris, ad esempio – riuscendo a integrare la spinta fornita da Bernie Sanders senza che questa diventi una rivolta che difficilmente vincerebbe (non c’è più un feticcio del passato moderato come Clinton) ma potrebbe fare danni. Su “The Guardian”,Sanders lancia un appello alla sinistra mondiale per contrastare la rete di destra nazionalista e xenofoba che si sta aggregando attorno a Trump, Salvini, Orban. Quello di fare da faccia di questa rete di sinistra sarebbe un ottimo ruolo per una figura che nel 2020 avrà 80 anni. Una vera prova del nove per la generazione che cresce e che dà grandi speranze ai democratici è quella del seggio senatoriale del Texas, dove lo sfidante Beto O’Rourke tenterà la prova impossibile di scalzare l’ultraconservatore Ted Cruz. Molto difficile riesca, ma se dovesse passare il suo messaggio anti Trump su muro al confine e immigrazione (in uno Stato al centro dei flussi migratori irregolari, ma anche molto ispanico) staremmo assistendo a un terremoto politico nel West.