Come tutti coloro che accedono ai piani alti della politica, e massimamente quando entrano nelle stanze del potere, anche il professor Mario Monti sembra essere tentato dal dismettere i panni del “tecnico” per calarsi in quelli del politico tout court. Vedremo tra pochi giorni quali saranno le sue intenzioni. Nel frattempo è chiaro che ogni sua decisione, in senso o nell’altro, influirà in maniera determinante sulle dinamiche elettorali e del sistema partitico.

Il primo effetto di una partecipazione diretta, con una propria lista (operazione peraltro tecnicamente difficile nei tempi ristretti di questa campagna elettorale per via della raccolta firme, formazione delle liste, organizzazione e promozione delle iniziative ecc.), sarebbe quello di frammentare ulteriormente il panorama del centro e forse anche della destra. Una lista autonoma guidata  da Monti in prima persona avrebbe al suo fianco una lista “Terzo Polo” e alla sua destra il PdL, la Lega e probabilmente gli ex-An, oltre a qualche altro cespuglio. Il centro e la destra sono, tutti i partiti  compresi, elettoralmente equivalenti al blocco di sinistra classica Pd-Sel-Socialisti. Ma non sono coalizzabili gli uni con gli altri ( a parte Terzo polo e lista Monti, ovviamente). La Lega non vuole sentire parlare del professore e lo stesso vale all’interno di buona parte del PdL, tant’è che non solo gli ex-An sono pronti a partire ma anche altre anime inquiete si muovono verso una direzione autonoma (Crosetto e Meloni). L’ostilità a Monti alberga tra l’elettorato pidiellino più ancora che tra la classe dirigente. Dopo aver nutrito per lustri i propri elettori di umori anti-europei, anti-establishment e anti-tasse ora è difficile farli convergere verso chi rappresenta l’antitesi di tutto ciò. Spezzoni del ceto dirigente pidielino possono sì cercare riparo sotto l’ombrello montiano ma non ciò porterà loro molti consensi. E se c’è chi immagina una qualche forma di intesa tra Berlusconi e Monti vuol dire che è rimasto prigioniero del castello incantato di Arcore. La frammentazione del centro e della destra consente quindi all’alleanza progressista un vantaggio strategico. Sappiamo però, e tutti gli esponenti della destra lo ripetono ossessivamente, che l’obiettivo primario è “evitare che la sinistra vada al governo”. È impressionante sentire ripetere questo proposito come un mantra da chiunque abbia un microfono a disposizione. Se tale quindi è la molla vitale della destra, allora non sono da escludere mosse clamorose da parte del PdL per raggiugnere lo scopo, ad esempio con un’uscita di scena finale e clamorosa di Berlusconi che lasci libero gioco ai suoi “montiani”. In questo caso, forse, ma sottolineiamo forse, potrebbe nascere una grande alleanza moderata – benedetta più che guidata da Monti – che potrebbe contendere il primato ai progressisti.

Contendibilità che aumenta considerando un altro esito possibile di una lista autonoma Monti: quello dell’indebolimento della componente “borghese” del Pd. Elettori provenienti non dagli strati popolari bensì dal ceto medio riflessivo questa volta potrebbero essere attratti da una versione più moderata e più in linea con i loro mondi vitali come quella incarnata dal professore.

Infine l’ambito della protesta più accesa, Grillo e Di Pietro. Mentre quest’ultimo è in pieno affanno, le baruffe interne al Movimento 5 Stelle interessano ben poco l’elettorato nel suo complesso. Con una lista Monti l’appeal di Grillo aumenterebbe per la “reificazione” di colui che il popolo degli arrabbiati considera una espressione dell’establishment anti-democratico e un by-product della casta.

Il nostro sistema partitico, ripetiamolo ancora una volta, è in una fase di ridefinizione, e solo con la presentazione delle liste sarà possibile ragionare seriamente sui possibili pesi elettorali e sugli scenari governativi. Per ora non possiamo che limitarci a queste (o a ben migliori) speculazioni.