La Spagna volta pagina. Le elezioni spagnole di ieri, segnate da un’affluenza alle urne del 73,2% (superiore di circa 1,6 punti a quella del 2011) hanno confermato le previsioni e sciolto i dubbi della vigilia. 

Si sapeva che nessuna delle due principali forze politiche in campo, le due tradizionali (Pp e Psoe) e le due nuove (Podemos e Ciudadanos) avrebbero raggiunto la maggioranza di seggi (176) necessaria per governare. E questa previsione è uscita convalidata dalle urne. Ci si aspettava che fosse il Pp a conquistare più voti. E così è stato. Restavano invece aperti i seguenti interrogativi: a che distanza il Pp si sarebbe arrestato dalla maggioranza assoluta? Quale sarebbe stato il secondo partito più votato? Avrebbero preso più voti Podemos o Ciudadans? Podemos avrebbe scavalcato il Psoe? E una delle due possibili alleanze sulla carta (Pp-Ciudadanos, Psoe-Podemos-Up) sarebbe riuscita a raggiungere la fatidica soglia dei 176 seggi?

Il Pp ha preso più voti degli altri, ma non ha vinto. Si è beneficiato dei timidi segnali di ripresa economica e di un Pil in netta ripresa. È parzialmente riuscito a far dimenticare gli scandali che ne hanno fortemente leso l’immagine negli ultimi anni. Si è giovato del duro atteggiamento assunto nei riguardi delle rivendicazioni catalane, raccogliendo il voto del nazionalismo spagnolo più tradizionale. Rispetto alle elezioni del 2011 ha però perso 3,5 milioni di voti, 14 punti percentuali e 63 seggi. Ha pertanto mancato il raggiungimento della maggioranza assoluta per 53 seggi. Un abisso. Il Psoe non è riuscito ad arrestare l’emorragia di voti iniziata nel 2011. Ha perso quasi 1,5 milioni di elettori, circa 6,7 punti percentuali ed è passato da 110 a 90 seggi, perdendone 20. A vincere è stato Podemos che in un solo anno di vita è riuscito a conquistare il consenso di oltre 5 milioni di elettori e 69 seggi, superando di slancio il movimento di Albert Rivera, Ciudadanos, che ha ottenuto 3,5 milioni di voti e 40 seggi.

Un vero terremoto si è avuto in Catalogna, dove Podemos risulta il primo partito, mentre gli indipendentisti di Esquerra Republicana de Catalunya e Convergencia Democràtica de Catalunya (quest’ultima presente nella coalizione Democràcia i Llibertat) si ritrovano in seconda e quarta posizione. Assai significativo risulta anche che nei Paesi Baschi sia stato Podemos il partito più votato.

Il dato politico è inequivocabile: la spinta al cambiamento di circa quattro elettori su dieci ha segnato la fine di quel bipartitismo che aveva contraddistinto il sistema politico del paese iberico dalle prime elezioni democratiche del giugno 1977. La Spagna dunque ha voltato pagina. Se il significato del risultato è chiaro, il futuro si presenta incerto e abbastanza opaco.

Né sommando i seggi del Pp a quelli di Ciudadanos, né quelli del Psoe ai seggi di Podemos si raggiunge la maggioranza dei voti necessaria a governare. Nel secondo caso neppure con il sostegno dei post-comunisti e verdi di Unidad Popular che hanno perso oltre 3 punti percentuali e 9 seggi (da 11 a 2) a favore di Podemos.

Si apre, dunque, una fase di difficili negoziati e di grandi incertezze. Una fase nella quale, peraltro, non è scontata la tenuta delle leadership di Rajoy e di Pedro Sánchez. L’iniziativa, comunque, spetta ora a Rajoy che cercherà di strappare l’astensione per l’investitura, per poi negoziare di volta in volta con gli altri partiti, tra i quali quelli nazionalisti potranno avere ancora una volta, come già avvenuto in passato, un ruolo determinante. Fallisse questo tentativo, l’iniziativa passerebbe a Sánchez che andrebbe incontro alle stesse difficoltà, anche perché una soluzione alla portoghese, che pure aveva ventilato, non ha i numeri sufficienti senza, anche in questo caso, il voto dei rappresentanti dei partiti nazionalisti catalani, baschi, galiziani e delle Canarie. O, almeno, di alcuni di essi.

Secondo l’articolo 99 della Costituzione spagnola, il candidato incaricato dal sovrano deve ottenere l’investitura con la maggioranza assoluta, ma se non l’ottiene deve presentarsi di nuovo entro 48 ore al Congresso dei deputati e in questo caso basterà la maggioranza semplice. In caso di mancata investitura entro due mesi dal primo voto di fiducia, il re dovrà sciogliere le Cortes e indire nuove elezioni.

Sono mesi difficili quelli che la Spagna ha di fronte. E del tutto inedita la situazione che le sue forze politiche devono affrontare. Disorientata appare anche l’opinione pubblica, che la democrazia spagnola aveva abituato a oliati meccanismi d’alternanza. Significativo un articolo su «El País» di commento al risultato elettorale: Bienvenidos a Italia. Il gioco degli specchi continua. La Spagna comincia a vedersi sul piano politico simile all’Italia. In Italia si legge il voto spagnolo come la vittoria dell’antipolitica. In entrambi i casi non ci si avvede che si tratta di specchi deformanti.