Sabato 20 novembre, all’età di 81 anni, è mancata Liana Borghi, una figura tra le più importanti in Italia per quanto riguarda gli studi di genere, femministi e queer. Liana era sempre presente là dove i saperi sono più vivi e quindi spesso lontana dall’accademia. Ha insegnato Letteratura anglo-americana all’Università di Firenze, è stata socia fondatrice della Società italiana delle letterate e ha contribuito alla creazione della rete europea Aoife/Athena e alla rete Wise (Women’s International Studies Europe) agli albori dell’istituzionalizzazione degli studi di genere. Si è occupata di narrativa lesbica contemporanea, autrici di fantascienza, scrittrici ebree americane e di poesia – in particolare di Adrienne Rich, di cui è stata anche traduttrice.

Ha contribuito alla fondazione della Libreria delle Donne di Firenze nel 1979 e del Giardino dei Ciliegi nel 1987; dal 1985 è stata responsabile, con Rosanna Fiocchetto, di Estro, casa editrice che ha introdotto il pubblico italiano ad autrici fondamentali per il capitale politico e teorico lesbico e femminista. Nel 2010 esce invece il primo volume della collana «àltera» per la casa editrice Ets, che ha co-diretto con Marco Pustianaz e che diventerà il primo luogo di edizione della teoria queer in Italia.

Snodo fondamentale per la circolazione delle idee provenienti dal contesto angloamericano, Liana è stata un’intermediaria culturale dotata di un infallibile intuito nell’identificare teorie e tendenze che sapeva poi tradurre per il campo del pensiero femminista, lesbico e queer in Italia. Più che divulgare, ha condiviso: era dotata di una grande competenza didattica – in molt* in questi giorni la ricordano come maestra – ma era pure un’intellettuale raffinata e complessa che amava pensare in contesti collettivi. Con la sua voce elegante e sguardo limpido parlava con pubblici accademici così come nelle assemblee di movimento. I dialoghi che ha saputo creare attraverso innumerevoli occasioni di incontro avvenivano grazie a un assemblaggio di persone che praticavano la ricerca, la politica, la scrittura, l’arte. Coerentemente con la sua formazione lesbofemminista ha saputo valorizzare saperi prodotti al di fuori delle mura accademiche, in luoghi dove i discorsi e i linguaggi si mescolavano in modo orizzontale, senza cornici che ne mettessero in ordine la legittimità.

Liana è stata un’intermediaria culturale dotata di un infallibile intuito nell’identificare teorie e tendenze che sapeva poi tradurre per il campo del pensiero femminista, lesbico e queer in Italia

Il suo posizionamento lesbico transfemminista queer era costantemente alla ricerca di parole chiave e nuove tracce di pensiero e ha così introdotto e mobilitato nei nostri contesti nozioni come naturalculturale (Haraway), performatività della natura (Barad), teoria degli affetti (Ahmed), archivi dei sentimenti (Cvetkovich), pedagogia queer (Sedgwick), mestizaje (Anzaldua), contrasessualità (Preciado), omonazionalismo (Puar), disindentificazione (Muñoz), per nominarne solo alcuni. Sempre attenta a ricordare il contributo fondativo delle pensatrici chicane e afroamericane alle origini della teoria queer nella California degli anni Novanta, aveva una profonda conoscenza del dibattito post-coloniale e decoloniale.

Liana aveva un grande fiuto per le innovazioni culturali ed era indifferente agli steccati disciplinari, così negli ultimi anni aveva approfondito il pensiero neomaterialista, rintracciando nell’opera di Karen Barad il quanto queer: un modello post-umano di performatività dove si riconosce il queer al livello subatomico dei quanti. Siccome i quanti non esistono, ma hanno la tendenza a esistere, essi complicano la nostra idea di realtà, di possibile, di tempo, di relazione. Proprio come il queer, che Liana ci ha sempre pazientemente spiegato essere una parola che acquista senso solo quando usata come verbo. Per questo il suo pensiero scartava in partenza il problema di dover conciliare una supposta frattura tra queer e femminismo, riflessione sul genere e sulla sessualità: in una cornice post-identitaria, o meglio che invita alla disidentificazione, il femminismo è al cuore della teoria queer. Il queer allora non è la tendenza a far coincidere trasgressione e liberazione in una successione di identità che finiscono per essere sempre più individualizzate, ma un’azione in costante movimento e relazione volta a creare le condizioni di sostenibilità di una buona vita oltre l’apparato normalizzatore di genere e sessualità.

Il pensiero di Liana Borghi scartava in partenza il problema di dover conciliare una supposta frattura tra queer e femminismo, riflessione sul genere e sulla sessualità: in una cornice post-identitaria, il femminismo è al cuore della teoria queer

Ho avuto la fortuna di incontrare per la prima volta Liana quando ero una giovane lesbica di 19 anni. Le scrissi una lettera: mi rispose per invitarmi alla prima edizione del Laboratorio di genere e intercultura Raccontar/si che si tenne a Villa Fiorelli nel 2001, di cui era organizzatrice assieme a Clotilde Barbarulli. Non capii praticamente nulla delle relazioni presentate, ma mi immersi in un tessuto affettivo, politico e intellettuale che mi accompagna ancora oggi e che ha contribuito alla costruzione dell’uomo e del ricercatore che sono poi diventato. I ricordi affettuosi che in questi giorni circolano sui social, nelle mailing list, tra le telefonate e i messaggi commossi, raccontano tante storie di crescita, solidarietà e trasformazione che Liana ha sostenuto e potenziato grazie alla sua straordinaria capacità di condividere saperi e affetti. La sua opera era un «laboratorio di intercultura» permanente, che ha saputo creare un entanglement – un groviglio – di saperi, generi, generazioni, trame e relazioni che hanno avuto un profondo impatto sul transfemminismo queer e sulla ricerca accademica. Tutto questo ci mancherà. La sua ricerca in costante evoluzione non ha prescritto un'ennesima monolitica scuola di pensiero, ma ci ha insegnato a prenderci cura dei saperi di movimento, della traduzione, della circolazione delle idee, del pensare insieme sui margini e delle relazioni che in quei margini fioriscono. I futuri che il lascito di Liana lascia aperti si dipaneranno nelle parentele tentacolari del fare-mondo queer.