Gentile onorevole Calderoli, Le scrivo dopo avere appreso della Sua indisponibilità a rassegnare le dimissioni dalla carica di vicepresidente del Senato, in seguito alle offese da Lei rivolte all’indirizzo di Cécile Kienge, attuale ministro dell’Integrazione nel governo italiano. Non ho mai avuto la fortuna di conoscerLa, né tanto meno Lei sa chi io sia, occupandomi come faccio di una vecchia rivista fondata da alcuni giovani studenti bolognesi più di sessant’anni fa. Ma mi decido a scriverLe, pur consapevole che con molta probabilità questa lettera non riceverà alcuna risposta, avendo trovato non solo poco utili ma tutto sommato anche controproducenti le levate di scudi contro la Sua persona che imperversano sui media e sui social network. 

Non che io mi trovi d’accordo con Lei. Ho sempre giudicato e giudico tuttora inaccettabili da un punto di vista banalmente istituzionale e in ogni caso prive di fondamento da un punto di vista logico-razionale tutte le argomentazioni con cui Lei, insieme a molti altri rappresentanti della Lega, in tutti questi anni ha cercato di convincere gli elettori a erigere un muro, fisico e psicologico, nei confronti dell’immigrazione straniera nel nostro Paese. Ma le battute non sempre folgoranti nei 140 caratteri di un tweet o nei post su facebook in difesa di chi viene accusato con violenza da Lei e dai Suoi colleghi di partito rischiano di ottenere nessun altro effetto se non quello di dare ancora più visibilità a posizioni estremiste e antidemocratiche. La lista delle ‘provocazioni’ con cui la Sua formazione politica e Lei stesso, in più occasioni, avete cercato e ottenuto facilmente visibilità è molto lunga. Non c’è stata volta che, tanto da parte di molti rappresentanti delle istituzioni quanto da parte di molti commentatori, non si siano levate voci di protesta scandalizzate, richieste di dimissioni, inviti alla moderazione. In Italia e in Europa. Ciò nonostante, anzi proprio per questo, l’abitudine a lanciare l’offesa, il lazzo violento e sguaiato di stampo fascista non si è affatto perduta. La sonora batosta subita alle ultime elezioni in seguito alle vicende corruttive che hanno squassato la Sua formazione politica non è, evidentemente, stata sufficiente a far sì che i nuovi vertici della Lega, e il nuovo segretario in particolare, si attrezzassero per un nuovo corso, nel tentativo di costruire una formazione politica pienamente rispettosa del gioco democratico. Tenuto conto del fatto che il Suo segretario politico è a capo della più grande e ricca regione italiana la cosa è assai rilevante (e preoccupante) per tutti, leghisti e non. Ma purtroppo neppure l’onorevole Maroni è parso all’altezza del suo incarico, né del ruolo da lui ricoperto in passato nel governo italiano, rifiutando come ha fatto di accogliere la richiesta formulata dal presidente del Consiglio Enrico Letta, che a lui si era rivolto affinché La convincesse, onorevole Calderoli, a rassegnare le dimissioni da una carica istituzionale importante come la vicepresidenza del Senato della Repubblica. Se né Lei né il suo capo politico avete accolto simili inviti, certo non posso sperare io, scrivendoLe dalla redazione di una vecchia seppure blasonata rivista, di ottenere qualsivoglia attenzione.

Eppure Le assicuro che anche stavolta Lei, il suo collega di partito Salvini e tutti coloro che, dai comuni e dalle regioni che ancora la Lega amministra, l’hanno affiancata con nuove e infamanti offese nei confronti della ministra Kienge, del presidente Napolitano e, dunque, delle istituzioni da loro rappresentate, avete perso un’occasione. L’occasione per «creare campi di comprensione, anziché campi di battaglia», come scrisse un professore che insegnava alla Columbia University di New York e che si chiamava Edward Said. Lei forse, onorevole Calderoli, non hai mai letto Said. Provi a farlo. Il suo invito era rivolto principalmente agli intellettuali, in un libro che, il caso volle, uscì proprio pochi giorni prima dell’11 settembre 2001. Ma è un invito che si può estendere a tutti coloro che, lavorando ai massimi livelli del sistema politico, dovrebbero agire per comprendere (prima) e modificare (poi) lo stato delle cose. L’immigrazione, anche nel nostro Paese, è un problema grande e di non facile soluzione. Riguarda tutti a tutti i livelli. Da molto tempo ci coinvolge nelle nostre azioni quotidiane. Con i migranti (ma anche con coloro che meno generosamente chiamiamo clandestini, se preferisce) ogni statistica deve fare i conti. Ed è un problema che richiede politiche specifiche da attuare per sgomberare il campo da pregiudizi. Non solo di stampo razziale, come quelli su cui la Lega si è fatta forte in un ventennio. Ma anche da tutte quelle posizioni acritiche pregiudizialmente favorevoli all’accoglimento, che hanno segnato troppo a lungo la propaganda politica di gran parte della sinistra italiana.

Riconoscere l’ineluttabilità del processo migratorio e la sua assoluta e necessaria presenza nell’Italia di oggi e di domani, ripensare le regole degli ingressi, la concessione della cittadinanza, l’integrazione nel tessuto sociale, attraverso il mondo della scuola e del lavoro innanzitutto, resta, onorevole Calderoli, il migliore dei modi possibili per cancellare, poco alla volta, le vergogne che su questo fronte hanno caratterizzato e tuttora caratterizzano il nostro Paese. Lasci dunque la Lega da parte un’azione politica ormai vecchia e fallimentare come quella dell’offesa e della provocazione gratuite e imbocchi invece, per quanto gradualmente, la via del confronto con un mondo che qualsiasi politico dotato di senso di responsabilità e di un minimo di conoscenza dei dati reali non può che intraprendere: quella che porta alla creazione di politiche migratorie mirate all’integrazione pacifica e costruttiva. Tra l’altro, spesso proprio i comuni amministrati dalla Lega sono quelli dove le iniziative per i migranti sono più numerose ed efficaci. Il che accresce lo sgomento nel considerare lo scarto tra l’aggressività della retorica leghista, tutta giocata sul disprezzo, e la realtà dei fatti, che vede interi paesi del Veneto sostentarsi, e magari arricchirsi, grazie alla presenza dei migranti.

Il regolamento del Senato Le lascia assoluta indipendenza nel decidere di non dimettersi dal Suo incarico. Approfitti di questo privilegio per dimostrare ai Suoi elettori che La sua carica istituzionale e il Suo ruolo politico hanno ben altro scopo che non sia quello di lanciare ‘provocazioni’ per occupare le pagine, ma che la Lega può ripartire ponendosi in maniera critica ma costruttiva proprio su un problema come l’immigrazione, su cui in passato si è fatta forte e ha raccolto tanti consensi. Non sia anche Lei goffo imitatore dei (tanti, purtroppo) altri estremismi e fascismi europei, nel presente e in un triste e drammatico ma non troppo lontano passato.