Sempre più spesso sentiamo parlare di sharing economy, per definire una serie di comportamenti e di pratiche sociali via via più diffusi in contesti prevalentemente metropolitani, quali il bike sharing, il car sharing, le banche del tempo, i Gruppi di acquisto solidale ecc. «Sharing» fa riferimento al concetto di condivisione, di solidarietà, di aiuto reciproco tra le persone. Accanto a questa visione che accentua soprattutto l’aspetto etico solidaristico della condivisione, vi è quello più strettamente dell’economy, dove emergono nuove o rinnovate forme di imprenditorialità e di scambi di mercato che richiedono nuove procedure, norme, standard di comportamento (AirBnb, Uber ad esempio).

Lo sviluppo e la diffusione della sharing economy in Italia, come in altre parti del mondo occidentale, significa la coesistenza di piattaforme multinazionali come Uber e AirBnb che sono in grado di imporsi sui mercati e competere in modo aggressivo con soggetti economici già presenti, ma anche l’emergere di iniziative dal basso come le banche del tempo o gli spazi di co-working che lottano per diventare economicamente sostenibili. Questo mondo variegato e composito delle forme di economia di condivisione è stato spesso considerato come una sorta di rottura con la visione egoistico-individualistica dell’economia di mercato e dell’interesse personale, e come promotore di un cambiamento verso una società più collaborativa che superi il capitalismo di mercato. Altri studiosi, più scettici, ritengono che si tratti di una pseudo condivisione che nei fatti non mantiene poi le aspettative di generare relazioni interpersonali comunitarie. 

Se serve a non prendere le cose per oro colato, lo scetticismo è utile; tuttavia, non si può negare che siamo in presenza di un fenomeno in crescita che vede convivere da un lato una pletora di iniziative di piccola scala, come i Gas (Gruppi di acquisto solidale), il mercato dell’usato, con il riciclo e il riutilizzo di beni, le banche del tempo, la condivisione di spazi e di macchinari per la produzione di beni e servizi: fab-labs, co-working che spesso prevedono l’utilizzo di tecnologie avanzate. D’altro lato, assistiamo alla crescita di piattaforme, spesso transnazionali, di corporate sharing come le notissime Uber e AirBnb, capaci di competere con attori presenti nei settori di mercato tradizionale nel quale si collocano. A differenza delle prime queste dispongono di cospicui capitali e tecnologie digitali. Come si è potuto constatare dal dibattito e dai conflitti generati da Uber, non disponiamo ancora di regole di comportamento per questo variegato mondo, dove gli attori coinvolti, anche quelli di grande dimensione, resistono a qualsiasi forma di regolazione e sottolineano costantemente il carattere amatoriale e non professionistico dei loro associati e l’importanza della reputazione, bene relazionale per eccellenza, come elemento fondamentale della regolazione.

Un tema, questo, che sta diventando mano a mano più rilevante. Perché è importante disporre di norme e che salvaguardino le esigenze di queste nuove realtà – molto diversificate tra loro per dimensioni, capitali, uso di tecnologie – e gli altri soggetti presenti sulla scena economica per evitare conflittualità scarsamente utili a tutti i soggetti coinvolti e in generale a tutti i cittadini.