«Ci sono, senza dubbio, particolari processi di fronte ai quali si dice con ragione che non è possibile narrarne ancora la storia perché la storia effettiva è ancora in corso; ma si tratta, in tali casi, di un ammonimento a non terminare, come s’usa, con l’immaginazione lotte ancora aperte, e a non trattare come materia storica ciò che è invece materia di vita e di dovere. Che è, se ben si penetri, l’opposto dell’ossequio al fatto bruto». Così scriveva, alla fine degli anni Venti, Benedetto Croce, meditando sul pericolo che corre lo storico che cede alla tentazione della profezia. Questo ammonimento ci è tornato in mente quando abbiamo ricevuto la proposta di Norberto Dilmore (un nom de plume dietro il quale si cela un economista che non può rivelare la sua identità per via della sua professione) di ospitare un contributo scritto provando a immaginare che la destra abbia vinto le elezioni politiche. Leggendolo, ci è parso che l’autore non abbia indossato i panni del (facile) profeta, ma che invece sia riuscito a dipanare con lucidità e passione civile il groviglio delle scelte che un ipotetico governo della destra si troverà ad affrontare. Mai come in questo caso, prendersi una piccola licenza nei confronti della verità - ma non della verosimiglianza - può aiutarci a ragionare sul futuro prossimo e sulla responsabilità che, come elettori, stiamo per prenderci nei confronti delle future generazioni. [M.R.]

La destra sovranista italiana ha vinto le elezioni del 25 settembre e formerà nelle settimane a venire un nuovo governo. Il partito maggioritario all’interno della coalizione è Fratelli d’Italia (FdI), che, come la destra polacca, persegue una strategia di politica internazionale pro-Nato, ma euroscettica. FdI ha come alleati minori la Lega, la cui leadership ha simpatie orbanian-lepeniste (anche se una parte consistente del partito è su posizioni più moderate) e Forza Italia, che, pur essendo nel Partito popolare europeo e proclamandosi in favore dell’Europa e della Nato, non è stata sempre convintamente europeista e in alcuni momenti ha mostrato simpatie pro-putiniane. Dati i rapporti di forza all’interno della coalizione, con FdI con più voti dell’insieme di Lega e FI (e con queste ultime tutt’altro che compatte sulla strategia internazionale da perseguire), l’approccio polacco finirà probabilmente per prevalere, perlomeno all’inizio.

Che cosa intendiamo per approccio polacco? La destra sovranista polacca, una volta tornata al governo nella metà dello scorso decennio, ha agito da freno al processo di integrazione europea (con l’eccezione dei casi in cui ne traeva un diretto tornaconto economico). Inoltre, ha sostenuto la preminenza della legislazione nazionale su quella comunitaria e su questa base a partire dal 2015 ha introdotto una serie di misure volte a mettere in questione la rule of law e l’indipendenza della magistratura. Così facendo ha violato i trattati europei ed è stata sanzionata attraverso il blocco di una serie di trasferimenti europei, inclusi i fondi di Next Generation Eu (Ngeu). Ne è seguito un lungo negoziato che alla fine si è tradotto in un cambiamento della legislazione sull’indipendenza della magistratura in vigore nel Paese centro-europeo, il che è stato sufficiente a farle ottenere in giugno di quest’anno lo scongelamento dei fondi di Ngeu. A livello internazionale, invece, la Polonia è stata storicamente pro-Nato e anti-Russia, una tendenza che si è ulteriormente rafforzata al momento dell’invasione dell’Ucraina. Di conseguenza, nel caso dell’Italia, per “approccio polacco” intendiamo una strategia politica euroscettica che sonderà su diversi fronti (politiche dell’immigrazione, rinegoziazione del Pnrr, politiche della concorrenza, forse rule of law) i margini di manovra di cui dispone nei confronti dell’Unione europea e appoggerà in modo opportunistico solo politiche europee che avranno una ricaduta positiva diretta e immediata in favore del nostro Paese. D’altra parte, sul piano delle alleanze politico-militari, l’approccio polacco dovrebbe far sì che l’Italia resti ancorata alla Nato (pur con alcuni distinguo, soprattutto da parte della Lega) e continui a favorire un rapporto privilegiato con gli Stati Uniti (in particolare con la destra repubblicana).

L’Italia sovranista e l’Europa. A questo stadio è difficile predire fino a che punto il nuovo governo italiano seguirà gli istinti sovranisti ed etno-nazionalisti già fortemente presenti tra i partiti che fanno parte della nuova coalizione governativa.

Il corso più probabile seguito da un nuovo governo di destra sarà l’approccio polacco (tra l’altro FdI e il PiS polacco sono nello stesso gruppo parlamentare europeo)

Come si diceva nell’introduzione a questo articolo, il corso più probabile seguito dal nuovo governo di destra sarà l’approccio polacco (tra l’altro FdI e il PiS polacco sono nello stesso gruppo parlamentare europeo). Una deriva orbanista non è impossibile a livello interno, ma solo se le cose si metteranno male per il governo di destra, che di fronte a un forte scontento economico e sociale potrebbe essere tentato dall’opzione della democrazia illiberale. A livello internazionale, la componente pro-putinista nel governo è minoritaria e resterà almeno inizialmente sottotraccia. Potrebbe tuttavia riemergere nel caso in cui Donald Trump venisse rieletto presidente nel 2024. Nel qual caso essere pro-statunitensi e nel contempo pro-russi potrebbe non essere più in contraddizione e l’anima orbaniana della Lega e di una parte di Forza Italia potrebbe riprendere vigore. L’alternativa di una svolta centrista, con una conversione pro-europeista delle forze maggiori della destra sovranista italiana per trarre i massimi vantaggi dal Pnrr ed essere parte integrante della leadership europea, sembra ancora più improbabile, perché si tratterebbe di una conversione a «u» che non sembra essere nell’ottica strategica di FdI o della Lega, non sarebbe compresa dal loro elettorato e verrebbe accolta con comprensibile scetticismo nelle varie capitali europee.

Se perseguirà l’approccio polacco, il nuovo governo italiano cercherà di comprendere dove si situano le red lines che porterebbero ad una rottura con l’Ue (e con l’asse franco-tedesco), e proverà a mantenersi in prossimità di esse senza però superarle (se non per breve tempo). Cosi, si cercherà di rinegoziare il Pnrr per poi probabilmente accontentarsi di alcuni cambiamenti al margine. Alcune componenti della maggioranza annunceranno importanti spostamenti di bilancio e riforme fiscali fantasiose basate sulla flat tax per poi far marcia indietro quando l’Unione europea minaccerà di congelare il disborso di nuovi fondi e lo spread si impennerà. Si minaccerà di dare preminenza alla legislazione nazionale su quella europea per poi far marcia indietro quando le istituzioni si rivolgeranno alla Corte di Giustizia. Si annuncerà il blocco navale per bloccare l’immigrazione, per poi giungere a più miti consigli, compatibili o quasi con la legislazione europea. E così via. È anche possibile, come nel caso polacco, che su uno o più di questi temi si resti al di là delle linee rosse, innescando un conflitto con l’Unione europea. In questo non c’è niente di nuovo: abbiamo già visto questo film ai tempi del governo giallo-verde, con surrealistici scontri sul deficit al 2,04% invece del 2,4% o delle misure anti-immigrazione e anti-clandestini perseguite dal ministro dell’Interno Salvini.

Mentre la solidarietà della Polonia (e dell’Ungheria) eviterà all’Italia l’imposizione di sanzioni nel caso vada oltre le red lines, questo non la proteggerà però sul fronte economico, da un lato perché le istituzioni europee possono comunque rifiutare di sborsare i fondi di Ngeu quando gli Stati Membri non mantengono i loro impegni e dall’altro lato perché, in quanto membro dell’Eurozona, l’Italia è vincolata da una serie di impegni la cui violazione può influenzare la condotta della politica monetaria (si veda il recente avvertimento al proposito del presidente della Bundesbank) e produrre una forte penalizzazione da parte dei mercati finanziari.

Detto questo, se nella maggior parte dei casi il governo della destra sovranista riuscirà a non violare le red lines e a trovare un modus vivendi certo conflittuale ‑ ma non eccessivamente destabilizzante ‑ con le istituzioni europee, si potrà pensare che sarà riuscito a far quadrare il cerchio, essendo stato in grado di assicurarsi la maggior parte dei benefici di cui gode l’Italia con la sua appartenenza nell’Unione europea e nel contempo di riuscire ad adempiere una serie di impegni sovranisti assunti col proprio elettorato. Tuttavia, quel che potrebbe sembrare un risultato nell’insieme positivo nel breve periodo può rivelarsi estremamente dannoso e pericoloso nel medio e lungo termine.

A differenza della situazione in cui operava il governo giallo-verde nel 2018-2019, in cui era ragionevole avanzare l’ipotesi ceteris paribus (a parità di altre condizioni), vale a dire supporre che le interazioni tra l’Italia e l’Unione europea non avrebbero influenzato significativamente il modus operandi dell’Unione; nel 2022 una tale ipotesi non è più valida per due ragioni: 1) con la pandemia l’approccio generale di politica economica dell’Ue è cambiato in modo significativo. Dal mettere la propria casa in ordine si è passati alla solidarietà europea e allo spirito di Ngeu e il nuovo approccio ha comportato importanti vantaggi per i Paesi più colpiti dal Covid; e 2) se i Paesi che maggiormente beneficiano della maggiore integrazione europea (e che soffrono di importanti fragilità e debolezze) sono i primi a distanziarsi dall’approccio solidale e a favorire in modo opportunistico solo politiche che producono un tornaconto diretto, i Paesi che hanno appoggiato con riluttanza o con riserva Ngeu considereranno allora che è meglio tornare a dare la preminenza ai propri interessi nazionali. Di conseguenza, l’approccio polacco che sarà probabilmente adottato dal nuovo governo italiano presenta il rischio significativo -e devastante per l’Italia- di produrre un back to the future, in cui tornano in auge le politiche perseguite durante la crisi del debito sovrano, politiche peraltro perfettamente compatibili con i trattati europei.

Non è stato facile spostare la Germania su posizioni di solidarietà europea. E la pace armata con i Paesi frugali ha come presupposto che l’Italia mantenga gli impegni presi

Non è stato facile spostare la Germania su posizioni di solidarietà europea nel definire la risposta alla pandemia. E la pace armata con i Paesi frugali ha come presupposto che l’Italia (e con essa gli altri Paesi che maggiormente beneficiavano dei fondi di Next Generation Eu) mantenga gli impegni presi, spenda bene i finanziamenti ricevuti e realizzi riforme importanti per rafforzare la resilienza della propria economia. Come menzionato in precedenza, l’arrivo di Mario Draghi alla testa del governo italiano nel febbraio 2021 offriva tali garanzie ai Paesi frugali e alla Germania. Ora, invece, nel mezzo dell’attuazione del Pnrr, arriva un nuovo governo euroscettico, che vuole rinegoziare parti importanti di esso e che ha in mente «riforme» che non sono compatibili con la legislazione europea e/o scardinerebbero gli equilibri macroeconomici del Paese e forse dell’Eurozona. Perché mai le istituzioni europee e i suoi stati membri dovrebbero premiare tali comportamenti? Se l’Italia vuole seguire la Polonia sulla via sovranista, non può poi pretendere in futuro di ricorrere alla solidarietà europea quando le fa comodo. C’è dunque la concreta possibilità che lo spirito di Ngeu scompaia con la pandemia e la solidarietà europea di grandi dimensioni resti un caso isolato, nonostante abbia dato risultati economici nettamente superiori a quelli delle politiche di austerità adottate tra il 2012 e il 2014, che rischiano invece di tornare ad essere, a dispetto dei loro pessimi risultati, le politiche standard dell’Unione europea. Se questo avverrà non si potrà considerare responsabili i Paesi frugali, ma coloro che hanno scelto di uccidere la gallina dalle uova d’oro.

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