Il Parlamento europeo ha visto il proprio peso crescere notevolmente nel corso del tempo, passando da “Calimero” delle istituzioni europee ad attore di rilievo. Questo processo è stato formalmente sancito con vari trattati, da ultimo quello di Lisbona entrato in vigore nel 2009.

Su un piano informale, l’evoluzione in senso bicamerale della macchina legislativa europea – con Parlamento (pe) e Consiglio che insieme adottano la legislazione sulla base delle proposte della Commissione – ha suscitato un interesse sempre maggiore da parte dei tanti gruppi di interesse operanti a Bruxelles, al punto da spingere alcuni di loro a trasferire gli uffici dalla zona intorno alla Commissione – un tempo il luogo istituzionale in cui esercitare pressione – alla zona vicina al Pe. Il recente scandalo del Qatargate ha ulteriormente evidenziato l’importanza dei poteri di cui il Pe dispone.

Ad aver compreso le potenzialità offerte dal co-legislatore europeo non vi sono però solo i gruppi di interesse. Negli ultimi anni, diversi partiti, in particolare quelli euroscettici, hanno incorporato il Pe nella loro strategia domestica. In Italia, il Movimento 5 Stelle di qualche anno fa rappresenta un caso esemplare. Nel giugno 2014, i 17 neoeletti europarlamentari grillini entrano nel gruppo euroscettico che aveva tra le sue fila il principale promotore della Brexit, lo Ukip di Nigel Farage. Il comportamento di voto degli eurodeputati a cinque stelle, destinati all’emarginazione politica da parte dei gruppi mainstream a causa di quella affiliazione, raramente sarà allineato a quello dei parlamentari hard-eurosceptic britannici, ma poco importava: il patto tra Grillo e Farage era da stipularsi per il semplice fatto di avvalorare, agli occhi dell’opinione pubblica, l’approccio barricadiero del Movimento nei confronti dell’Ue e dell’euro. Nel gennaio del 2017, con i sondaggi che lo danno primo partito in Italia e probabile partito di governo, il M5S tenta – senza riuscirci – di traghettare se stesso verso il tanto deprecato gruppo dei liberali, un gruppo euroentusiasta e, per questo, più “rispettabile” (per un’analisi più dettagliata si rimanda a questo articolo accademico).

Benché l’Ue non disponga di un governo parlamentare, i risultati delle elezioni europee e la composizione del Parlamento influenzano diverse posizioni di rilievo

L’attenzione mostrata dal M5S alla questione delle affiliazioni politiche all’interno del Pe non rappresenta certo un caso isolato. Negli ultimi mesi, media italiani ed europei hanno riportato diversi retroscena sulle interlocuzioni tra Giorgia Meloni e Manfred Weber, leader del gruppo dei Popolari europei (il Ppe) e dell’omonimo partito transnazionale. Incontri ai quali Meloni partecipa non solo in quanto prima ministra di un Paese fondatore e leader di Fratelli d’Italia; ma anche (soprattutto?) in qualità di presidente del partito transnazionale dei Conservatori e riformisti europei (Ecr), rappresentato a Bruxelles e Strasburgo dal gruppo politico che porta lo stesso nome. Di questi bilaterali ha recentemente parlato Steven Forti, il quale ha osservato come in ballo ci sia la ridefinizione dei futuri equilibri europei. Infatti, strizzando l’occhio al gruppo dei conservatori, il Ppe di Weber abbandonerebbe la storica alleanza con socialisti e liberali, creando così un vero e proprio spartiacque nella storia del Pe. Le ripercussioni di una tale virata a destra sarebbero notevoli. Infatti, benché l’Ue non disponga di un governo parlamentare, i risultati delle elezioni europee e la composizione del Parlamento influenzano diverse posizioni di rilievo, da cariche parlamentari importanti come la presidenza del Pe fino alla leadership della Commissione. Non è poi da sottovalutare l’impatto che una riconfigurazione delle maggioranze in tal senso avrebbe su dossier legislativi centrali, da quelli sullo stato di diritto in Polonia e Ungheria a quelli sulla transizione verde, ad esempio.

C'è però un altro aspetto da considerare, che va oltre la pura politica e riguarda il simbolico. Se la destra più conservatrice dovesse ottenere risultati cospicui alle prossime elezioni europee, come sembra probabile, l’aumento dei rispettivi seggi al Pe confermerebbe la tendenza elettorale verso destra in atto in diversi Paesi dell'Ue. Fratelli d’Italia non è infatti il solo partito di Ecr a ritrovarsi al governo di uno Stato membro. In Lettonia, il partito nazionalista Associazione nazionale (Nacionālā Apvienība) è rappresentato nel governo da ben quattro ministri (rilevante poi che il suo unico europarlamentare ricopri una delle vicepresidenze del Pe). In Europa centro-orientale, il liberal-conservatore Partito democratico civico (Občanská Demokratická Strana) è alla guida del governo ceco, mentre Diritto e giustizia (Prawo i Sprawiedliwość) dei fratelli Kaczyński si trova al potere in Polonia. Spostandoci più a nord, si ricorda il caso dei Democratici svedesi (Sverigedemokraterna), partito anti-immigrazionista dalle posizioni decisamente a destra che ha ottenuto un sorprendente secondo posto nelle elezioni dello scorso settembre (si veda questa analisi post-elettorale per un approfondimento). A questa lista vanno poi aggiunti il partito spagnolo Vox, noto in Italia per l’amicizia tra il suo leader e Meloni, e il partito separatista belga Nuova alleanza fiamminga (Nieuw-Vlaamse Alliantie), il primo al governo con il Partido Popular nella regione di Castilla y León, il secondo al potere nelle Fiandre.

Se i partiti del gruppo Ecr riuscissero a replicare a livello europeo i successi nazionali, e rimpiazzare così socialisti e liberali come principali partner dei Popolari, ciò rappresenterebbe la convalida politica e istituzionale, all’interno dell’arena parlamentare europea, di una ben precisa visione politica. Uno studio pubblicato lo scorso dicembre suggerisce, infatti, che Ecr non sia un gruppo raffazzonato di partiti messi insieme per ragioni di tattica parlamentare. Sebbene ci siano sfumature ideologiche tra i membri di questo gruppo, ciò che li unisce è più forte di ciò che li divide. Martin Steven e Aleks Szczerbiak, autori dello studio, osservano che a far da collante vi sia un conservatorismo di matrice anglo-americana (à la Trump, per intenderci) che si caratterizza per una visione reazionaria della società e della famiglia e un approccio liberista nell'economia. Sull’integrazione europea, la posizione del gruppo Ecr non può essere etichettata come semplice euroscetticismo. Essi stessi preferiscono definirsi “eurorealisti”, dichiarandosi favorevoli all'integrazione economica ma fermamente contrari a un’evoluzione in senso federale dell’Ue. Questa posizione li differenzia sia dagli europeisti del Ppe, sia dal gruppo ultraeuroscettico Identità e democrazia (a cui aderiscono tra gli altri, la Lega e il Rassemblement National di Marine Le Pen). A distinguere il gruppo Ecr da questi ultimi c’è poi la posizione in politica estera, decisamente pro-Nato, pro-Usa e, come nel caso di Fratelli d’Italia, apertamente schierato contro la Russia.

Sembrano superati i tempi in cui il Pe veniva bollato come ospizio per politici nazionali consumati o, nella migliore delle ipotesi, palestra politica per politici in formazione

Tutto questo testimonia la rilevanza del Pe nel panorama politico. Il ruolo del co-legislatore europeo non è più quello di istituzione di secondo-livello al massimo utile a partiti di frangia per ottenere successi impensabili nelle arene nazionali. Sembrano poi superati i tempi in cui il Pe veniva bollato come ospizio per politici nazionali consumati o, nella migliore delle ipotesi, palestra politica per politici in formazione. Al contrario, oggi il parlamento di Strasburgo assume una centralità indubbia nella politica europea, sia come arena aggiuntiva a disposizione dei partiti per perseguire obiettivi nazionali (come nel caso dei cinque Stelle, citato all'inizio), sia come vera e propria estensione sovranazionale dei processi politici in atto negli Stati membri. Riguardo quest’ultimo aspetto, l’attenzione che politici europei rappresentanti il mainstream, come Weber, stanno prestando al gruppo dei conservatori rispecchia, e accredita a livello sovranazionale, la crescente base elettorale di queste formazioni nelle arene domestiche. Ciò dimostra che la politica europea, che si svolge nel Pe, e quella degli Stati membri non seguono più percorsi paralleli, ma sono strettamente interconnesse.