Il Consiglio dei ministri, dieci giorni fa, ha approvato la delibera che abolisce i voucher per pagare i lavori temporanei. Si è trattato di una decisione tutta politica per evitare conflitti in questo delicato momento della legislatura, giacché gran parte delle forze politiche si dichiara consapevole della necessità di una nuova regolamentazione del lavoro occasionale. Il timore di molte persone è quello di far ripiombare nell’economia sommersa attività precarie, tipiche della gig economy, che occupano oggi un numero consistente di giovani, di immigrati e quote deboli del mercato del lavoro. Se all’abolizione dei voucher non segue rapidamente l’istituzione di nuovi strumenti per regolarizzare e far emergere i lavori temporanei, a progetto eccetera, questi lavoratori si troveranno in condizioni ancora peggiori rispetto alle attuali. Del resto convivere con l’incertezza, generata non solo dalla struttura del mercato del lavoro ma anche dalla rapidità e imprevedibilità del cambiamento tecnologico, rappresenta una caratteristica di quest’ultimo decennio.

Il clima di incertezza ha ormai subito una sua storicizzazione e normalizzazione ed è quindi almeno in parte indipendente dal ceto, dal genere o dal livello di istruzione, sebbene queste categorie rimangano dirimenti nel fornire risorse rispetto alla capacità di gestire l’imprevedibilità e all’abilità del navigare a vista. Oggi per molti giovani la crisi non costituisce un momento passeggero, una parentesi o un incidente in un percorso altrimenti caratterizzato da stabilità. La crisi costituisce la condizione normale della loro esperienza. L’incertezza che segna l’esperienza contemporanea non si presenta come una discontinuità rispetto a un periodo precedente più stabile ma è parte dell’ambiente socio-culturale in cui questa generazione di giovani è cresciuta. La crisi è sempre esistita, è sempre stata parte della loro vita, è ciò che caratterizza la loro esperienza rispetto a quella dei loro genitori – che magari sperimentano a cinquanta o sessant’anni la precarietà.

L’impossibilità di fare programmi di lungo periodo o prevedere la scansione delle tappe principali della propria vita appare un elemento di senso comune che orienta tanto le scelte della vita quotidiana, quanto quelle degli studi o delle esperienze professionali dei giovani. Rispetto a questo senso comune non sembrano infatti esserci alternative, così come appare estraneo e non riproponibile uno stile di vita basato su tappe prestabilite, come accadeva ai tempi dei nonni e delle professioni stabili negli anni della società industriale e del boom economico. Non c’è da stupirsi quindi del calo della natalità nel nostro Paese. L’opposto dovrebbe stupirci maggiormente.

Di fronte alla crisi i giovani non sono scoraggiati o angosciati, ma non sono neppure fiduciosi o eccessivamente ottimisti. Sono sufficientemente sicuri di loro stessi, delle loro capacità e del supporto che possono ricevere dai loro familiari, ma riconoscono che nulla può essere dato per scontato e che non hanno garanzie che i loro progetti abbiano successo. L’incertezza è insomma normalizzata ma allo stesso tempo non è del tutto accettata, continua a sollevare inquietudine, preoccupazione e richieste di protezione da parte della famiglia, a sollecitare lo sforzo dell’immaginazione e della capacità di improvvisazione e si traduce pertanto in una sorta di «rassegnazione attiva»: occorre agire perché rimanere fermi significa soccombere. L’incertezza assume il volto dell’inevitabile necessità davanti alla quale non si può che reagire mobilitandosi in modo virtuoso, mettendosi alla prova, utilizzando al meglio le proprie risorse.

La solidarietà famigliare appare imprescindibile, nonni e genitori che hanno goduto di maggiori opportunità devono impegnarsi a sostenere lo sforzo dei loro figli, così come figli intraprendenti devono poter aiutare i genitori che hanno perso il lavoro. Anche in questo caso il Welfare famigliare come risorsa privata sembra far dimenticare qualunque aspettativa o rivendicazione nei confronti di un Welfare pubblico, capace di attenuare differenze di ceto e di posizionamento socio-economico. Il lavoro costituisce sia la fonte di maggiore incertezza sia il suo principale antidoto. Infatti, è nella riduzione delle possibilità di avere accesso al mondo del lavoro e nel procedere accidentato e scostante delle carriere professionali che i giovani sentono in modo prevalente il peso dell’attuale crisi. D’altro lato, accedere al mondo del lavoro significa poter governare almeno in parte l’incertezza, rimanerne esclusi significa invece esserne semplicemente vittime. Per tutte queste e mille altre ragioni auspichiamo una rapida risposta che normi e regolarizzi queste forme antiche e contemporanee del lavoro precario.