Tutti, o quasi, parlano dell’emergenza climatica, ma pochi comprendono le implicazioni connesse a una risposta rapida e coordinata su questo fronte. Recentemente sono state lanciate diverse misure europee importanti, sia per le rinnovabili sia per la mobilità elettrica, misure che riguardano, ad esempio, tanto gli edifici “green” quanto i materiali caratterizzati da alto rischio di fornitura, di strategica importanza economica per l’Europa. Si tratta con buona evidenza di sfide che toccheranno profondamente le scelte industriali che anche molte imprese italiane dovranno prendere in tempi relativamente brevi.

Purtroppo, almeno in questo primo scorcio di legislatura, le risposte governative sono state spesso incerte, se non ostili, sintomatiche di una mentalità poco incline a comprendere la radicalità necessaria per affrontare le svolte dei prossimi anni.

Il rilancio delle rinnovabili dopo forti ritardi. Partiamo dagli obiettivi europei sulla quota di rinnovabili nei consumi finali al 2030, dunque da qui a meno di dieci anni. La Commissione, dopo l’aggressione russa all’Ucraina, ha proposto il piano REPowerEU che prevede un aumento del target delle rinnovabili dall’attuale 40% al 45%. In Italia il nuovo impegno comporterebbe l’80% di rinnovabili elettriche al 2030, contro la media del 38% dell’ultimo decennio. Siamo sulla strada giusta? Qualcosa si sta muovendo, considerando che nel 2022 sono stati installati 3 Gw di solare ed eolico e che quest’anno supereremo i 5 Gw, un passo avanti non trascurabile considerando che secondo le imprese del settore al 2030 dovremmo incrementare di 85 Gw la potenza derivante da rinnovabili. Ma ci sono ancora moltissimi ostacoli, ad esempio sul fronte delle autorizzazioni. In parallelo, si dovrebbe però avviare con decisione una strategia per quanto riguarda i sistemi di accumulo, la cui funzione diventerà decisiva in presenza di elevate percentuali di rinnovabili.

Le risposte all'urgenza del cambiamento di prospettiva sono state spesso incerte, se non ostili, sintomatiche di una mentalità poco incline a comprendere la radicalità necessaria per affrontare le svolte dei prossimi anni

Purtroppo mancano ancora impegni precisi – anche se occorrerà attendere il nuovo Piano nazionale integrato energia e clima previsto per giugno per valutare l’impegno effettivo del governo su questo fronte – e sono in grande ritardo diversi dei decreti attuativi che consentirebbero una decisa accelerazione del contributo derivante dell’elettricità green.

La corsa verso la mobilità elettrica, con un'Italia incerta e in ritardo. Come noto, l’Unione europea si è data l’obiettivo del 2035 come anno oltre il quale non sarà più possibile vendere auto con motore endotermico, al netto della modifica ottenuta dalla Germania per le auto con combustibili sintetici. Entro il 2035, dunque, si dovranno vendere (quasi) solo auto elettriche. Un obiettivo, peraltro, fatto proprio negli Stati Uniti anche dalla California e dallo Stato di New York.

Sull’adozione definitiva di questo Regolamento sono arrivati i primi scossoni con la perplessità o la contrarietà di Italia, Germania, Polonia e Ungheria. Il ministro tedesco per i Trasporti e le infrastrutture digitali, Volker Wissing, rappresentante di quei Liberali che in base ai sondaggi stanno attraversando una crisi di consensi, ha fatto la voce grossa, chiedendo l’ammissione dei combustibili sintetici. Ciò ha provocato un momentaneo stop al provvedimento, che ha suscitato da parte italiana un’euforia francamente incomprensibile: la presidente Meloni ha parlato di “un nostro successo”, il ministro Urso è arrivato a dire “abbiamo svegliato l’Europa”.

La realtà è molto diversa. Luca de Meo, numero uno di Renault e presidente dell’Associazione europea dei costruttori Acea, è stato netto: “Purtroppo il motore endotermico è morto, il futuro è elettrico”. Volkswagen quest’anno ha alzato da 52 a 131 miliardi gli investimenti sull’elettrico, mentre Stellantis punta a vendere in Europa solo veicoli elettrici entro la fine del decennio.

A livello globale sono oltre 1.200 i miliardi di dollari destinati alla conversione verso le auto a batteria.

Il motore endotermico è morto, il futuro è elettrico: da questo assunto occorre partire per rendere nei prossimi anni la mobilità elettrica un'opportunità per un numero sempre maggiore di utenti

La rivoluzione è partita. Ma da noi le idee sono confuse. “Il destino dell’auto non è solo elettrico”, secondo il ministro Giorgetti, “l’ho detto più volte, io scommetto sull’idrogeno”. Un’opzione marginale per il settore auto. Il vero obiettivo che il governo ha cercato di centrare in sede europea, senza riuscirci, ha però riguardato i biocarburanti, sui quali è impegnata l’Eni, una eventualità bocciata per il rischio dei possibili impatti ambientali, a cominciare dalla sottrazione di terreni destinata alla produzione di cibo in territori spesso caratterizzati da seri problemi di malnutrizione e denutrizione della popolazione.

La Germania ha dunque utilizzato l’ingenuità dei rappresentanti italiani in sede di Consiglio europeo per mettere il bastone fra le ruote della transizione verso l’elettrico, riuscendo in extremis a ottenere l’inclusione dei combustibili sintetici. Tuttavia va ricordato che gli e-fuels, da produrre attraverso idrogeno verde e CO2, rappresentano una soluzione costosissima, che consuma molta energia e acqua e il cui utilizzo comporta l’emissione di ossidi di azoto. Dove pensano di rifornirsi di e-fuels le case tedesche? Tra le ipotesi vi sono Cile, Arabia Saudita e Namibia, Paesi che hanno già sottoscritto accordi per la produzione di idrogeno verde.

Il nuovo quadro che sta emergendo vede dunque la continuazione della corsa verso l’elettrico in molti Paesi, dall’Europa alla Cina, dagli Stati Uniti al Giappone, con un piccolo spazio per i combustibili sintetici che servirà per creare un’industria utile per altre applicazioni, come l’aviazione.

Venendo all’Italia, che se ne torna a casa scornata, dovrebbe raccogliere la sfida e aiutare la riconversione delle imprese della componentistica auto, che peraltro lavorano per il 60% per l’industria tedesca, invece di litigare sul 2035 regalando vantaggi ad altri Paesi.

Governo italiano critico sulle case green. Lo stesso atteggiamento negativo e controproducente si è registrato sulla proposta di Direttiva europea sull’efficientamento degli edifici che, secondo il ministro Salvini, rappresenterebbe “una patrimoniale mascherata”. In realtà, la Direttiva per l’efficientamento energetico degli edifici riguarda direttamente le esigenze dei cittadini. La spinta a rendere i nostri edifici più efficienti consente infatti di ridurre fortemente le bollette, migliora il comfort termico degli ambienti, valorizza gli immobili (un edificio di classe A vale almeno il 30% in più di un edificio di classe G).

Non è un caso che l’Associazione nazionale costruttori condivida l’impostazione europea, ritenendo “indispensabile” un grande piano di riqualificazione energetica degli edifici italiani

Non è un caso che l’Associazione nazionale costruttori edili (Ance) condivida l’impostazione europea, ritenendo “indispensabile” un grande piano di riqualificazione energetica degli edifici italiani e sottolineando contemporaneamente l’importanza di individuare le risorse necessarie.

Ovviamente gli incentivi ci saranno, così come ci sono stati dal 2006, ma indubbiamente bisogna accelerare. Nell’ultimo ventennio in Italia, come nel resto d’Europa, il ritmo degli interventi è stato pari all’1% della superficie costruita, mentre dovremmo gradualmente raddoppiare questa percentuale. Ma quali trasformazioni ci aspettano?

La stessa Ance sottolinea che servirebbe un grande rafforzamento nel settore delle professioni necessarie ai progetti di efficientamento, formando adeguatamente nuovi muratori, idraulici, elettricisti, falegnami. Uno spunto rilevante per ricordare il ritardo del nostro sistema di formazione professionale a fronte di notevoli prospettive occupazionali.

Oltre a ciò, questa sfida impone anche una rivisitazione dei modelli di lavoro delle imprese del settore, fino ad arrivare a una forte transizione, come proposto dalla industrializzazione della riqualificazione edilizia che accorcia tempi e costi secondo il modello Energiesprong, partito in Olanda e poi attecchito in altri Paesi europei.

Materiali critici: a che punto è l’Europa. L’Europa aveva iniziato a dotarsi di una propria politica industriale verde, ad esempio sul versante delle batterie. Ma ha dovuto accelerare dopo l’approvazione nell’agosto 2022 da parte dell’amministrazione Biden dell’Inflation Reduction Act (Ira), che mette sul piatto 369 miliardi di dollari per la transizione verde.

Tutte le trasformazioni, da quella energetica a quella della mobilità, dovranno affrontare la criticità della disponibilità di materiali critici, una trentina di minerali che vanno dalle terre rare al litio, al cobalto, dal rame al nichel. Da qui il lancio del Critical Raw Materials Act considerato uno dei capisaldi del piano industriale del Green Deal dell’Unione europea, insieme al Net-Zero Industry Act, che fissa l’obiettivo per l’Ue di produrre il 40% delle proprie tecnologie pulite entro il 2030, come i moduli fotovoltaici.

L’innovazione tecnologica – si pensi al passaggio in atto alle batterie al litio ferro fosfato, alla messa in cantiere di un’industria del recupero e riciclaggio delle soluzioni green, l’avvio di nuove industrie sul fronte delle rinnovabili e della mobilità elettrica – delinea scenari nuovi e dalle grandi potenzialità. L’Europa, per quanto in ritardo, intende attrezzarsi per evitare la dipendenza dalla Cina e dalle ambizioni degli Stati Uniti, mostrando in questo modo di cogliere la rilevanza geopolitica di trasformazioni che non è eccessivo definire epocali. Anche nel nostro Paese si apre così una partita di rapidissimi cambiamenti che, almeno per il momento, vede però più attento il mondo delle imprese rispetto ai decisori politici, che confermano l’assenza di visione e una scarsa preparazione.