Non è un caso che la riunificazione tedesca sia associata a un aumento dell’estremismo di destra. L’annessione del territorio della Repubblica democratica tedesca (Rdt) non ha creato una «nuova Grande Germania»: la prima metà degli anni Novanta è stata segnata da un’ondata di violenza di destra. Oggi ci troviamo di nuovo di fronte a un rafforzamento dell’estrema destra. Ma, a differenza di trent’anni fa, non abbiamo a che fare solo con un movimento sociale con un’agenda etnico-nazionalista, ma anche con una forza presente in Parlamento.

La violenza di destra dei primi anni Novanta era fondamentalmente razzista. Non era solo un «problema dell’Est», anche se i pogrom più rilevanti sono legati indissolubilmente ai nomi delle città di Hoyerswerda (Sassonia, 1991) e Rostock-Lichtenhagen (Meclemburgo-Pomerania anteriore, 1992), come pure neonazisti e giovani di destra hanno esercitato una terrificante supremazia in molte parti dei nuovi Stati federali. Gli attacchi si sono concentrati fortemente sui giovani di sinistra e sui senzatetto. In tutta la Germania tra il 1990 e il 1993, secondo i calcoli della stampa, almeno 58 persone sono state uccise dalla violenza di destra. Da qualche tempo le vittime della Germania dell’Est rielaborano quegli anni tramite la letteratura (si veda per esempio il romanzo di Manja Präkels, Als ich mit Hitler Schnapskirschen aß, Verbrecher Verlag, 2017). L’ondata di violenza ha accompagnato un dibattito polarizzante avviato dal governo federale sull’asilo e sulla questione se la Germania sia o meno un Paese di immigrazione. Nel 1994 il diritto di asilo, tramite una risoluzione del Bundestag, è stato sensibilmente limitato.

Politicamente, l’estrema destra non è stata in grado di capitalizzare questi anni, sebbene sin dai primi anni Ottanta avesse agitato lo spettro dell’«infiltrazione straniera». Nonostante una crescente cultura giovanile di estrema destra, non è stata nemmeno in grado di avere successo alle elezioni. I «Repubblicani», fondati nel 1983 da membri delusi della Csu in Baviera, avevano ottenuto i loro maggiori successi elettorali poco prima della caduta del Muro di Berlino e, nonostante la loro retorica nazionalista, non riuscirono a beneficiare dell’unità tedesca. Ne seguì la loro insignificanza politica.

Nel 2004 e nel 2006 la Npd (Nationaldemokratische Partei Deut- schland), il più antico partito di estrema destra, saldamente radicato nell’ambiente neonazista, è riuscita a entrare nei Parlamenti di due Stati federali orientali (Sassonia e Meclemburgo-Pomerania anteriore). Ma anche questi successi sono rimasti semplici episodi, limitati al livello regionale. Resi possibili, tra l’altro, per via del conflitto sociale e della ristrutturazione del Welfare tedesco con «Agenda 2010» del governo federale rosso-verde. In particolare, la riforma dell’assicurazione contro la disoccupazione (nota come «Hartz IV») non solo ha peggiorato la situazione finanziaria dei disoccupati, ma ha anche accentuato la percezione dell’insicurezza. Molto più velocemente di prima, si temeva, con la disoccupazione, la perdita dello Stato sociale; inoltre, le nuove sanzioni dell’assicurazione contro la disoccupazione e stringenti criteri di tolleranza nell’accettare nuove offerte di lavoro hanno costretto i disoccupati ad accettare occupazioni al di sotto delle loro qualifiche nel settore dei bassi salari, che è stato notevolmente ampliato dalle nuove normative.

[L'articolo completo è pubblicato sul "Mulino" n. 5/20, pp. 778-786. Il fascicolo è acquistabile qui]