Verso la maturità democratica. Per la prima volta nei suoi 65 anni di storia, il Pakistan vedrà un governo democraticamente eletto succedersi a un altro uscito dalle urne.

L’esecutivo presieduto da Asif Ali Zardari ha infatti portato a termine il 16 marzo scorso i cinque anni di legislatura e ha fissato la data delle nuove elezioni per l’11 maggio. Il 24 marzo, inoltre, Hazar Khan Khoso, un anziano giudice in pensione con reputazione di persona integerrima, è stato scelto da una commissione elettorale come caretaker, capo del governo provvisorio che per due mesi curerà l’ordinaria amministrazione e garantirà che le elezioni si svolgano in maniera corretta. Si tratta di un risultato straordinario verso la maturità democratica per un Paese che sinora aveva sempre visto deboli governi civili abbattuti da colpi di Stato di generali.

Per quanto riguarda il presidente Zardari, sul suo sito ufficiale si legge che “ha proseguito i suoi studi a Londra, dove ha studiato economia”; ciò significa che ha frequentato un qualche istituto senza riuscire a ottenere il titolo di studio. Ma, a discapito del modesto rendimento scolastico, questi ha dato prova nel corso del suo mandato di straordinarie doti di tattica politica. Etichettato da molti come il “presidente per caso”, poiché prese la guida del Partito popolare pakistano (Ppp) sulla scia dell’onda emotiva successiva all’assassinio della moglie, Benazir Bhutto, nel dicembre del 2007, e quindi diventò presidente della Repubblica nel 2008, in seguito alle dimissioni di Musharraf, nei primi mesi di governo in pochi avrebbero scommesso sulla sua durata.

Oggi per i suoi estimatori è invece colui che in una fase difficilissima ha rinvigorito le istituzioni democratiche, cedendo volontariamente molti dei poteri che Musharraf aveva concentrato sulla presidenza; ha inoltre rafforzato le provincie e sostenuto una certa crescita economica in tempi di recessione internazionale. È stato anche capace di assumersi notevoli responsabilità in un ambito che tradizionalmente i militari si erano sempre riservati, come la politica estera. Per i detrattori, Zardari ha invece presieduto un governo incompetente e corrotto, rovinato i parametri macroeconomici del Paese, portato allo sfacelo il settore energetico, e si è dimostrato incapace nel proteggere la popolazione da un’ondata di violenza settaria senza precedenti, che ha causato la morte di centinaia di sciiti. Questi non è infatti riuscito a tener testa efficacemente ai talebani, i quali continuano a controllare una parte del Paese.

In realtà meriti e limiti di Zardari sono da rintracciarsi proprio nella sua straordinaria capacità di restare in sella contro ogni avversità. In politica, si è dovuto difendere non tanto dal suo tradizionale avversario, Nawaz Sharif, leader della Pakistan Muslim League-N, ma da due fenomeni nuovi nel panorama politico pakistano. Uno è rappresentato da Imran Khan, leader del Movimento per la giustizia (Tehreek-e-Insaf); ex star del cricket, Khan ha cavalcato l’ondata di malcontento, soprattutto giovanile e della classe media, organizzando imponenti manifestazioni di protesta contro i droni americani e la corruzione dei politici. L’altro è Muhammad Tahir-ul Qadri, un predicatore noto in America per la sua fatwa contro i terroristi. Residente in Canada dal 2006, Qadri era un personaggio politico quasi sconosciuto nel Paese d’origine. Arrivato in Pakistan a dicembre, il mese successivo questi ha organizzato una gigantesca manifestazione, capace di paralizzare Islamabad e mettere in difficoltà il governo con la richiesta di cacciare i “criminali” dalla politica. Quel giorno, mentre Qadri, il quale gode di risorse logistiche misteriosamente illimitate, incitava le folle nella città paralizzata, la Corte suprema annunciava inoltre l’arresto del Primo ministro, Raja Pervez Ahraf. In tale situazione Zardari è stato capace di mantenere un incredibile sangue freddo, negoziando fino a riuscire a disinnescare la minaccia.

Questo episodio particolare serve a chiarire, al netto di improbabili teorie cospirative di golpe, che i veri avversari di Zardari sono da individuare soprattutto nelle altre due eminenti istituzioni del Pakistan: il potere giudiziario e i militari. Ma l’abilità del presidente e la mancanza di vere alternative hanno consentito, alla fine, la sua sopravvivenza al potere, un risultato davvero importante per la democrazia pakistana. I vantaggi tattici lasciano però intatti i limiti strategici della sua visione politica, tesa solo ad arrivare al giorno dopo.

Anche se la popolarità di Zardari ha raggiunto recentemente il suo minimo storico, attestandosi al 14%, non è detto che egli non abbia futuro. Tutt’altro, in un contesto politico altamente polarizzato, dove molti giocatori sono troppo radicali per potersi permettere alleanze, potrebbe essere avvantaggiato chi è capace di costruire e trovare proprio tali intese, piuttosto che il partito che al termine delle prossime elezioni strapperà la vittoria. E Zardari ha dimostrato di essere un maestro in questo.