È utile che sul tema della partecipazione elettorale si sia aperto un accenno di dibattito, a partire dalle analisi offerte dall’Istituto Cattaneo sulla recente tornata di elezioni amministrative. Quando l’astensione aumenta di 20 punti percentuali nel giro di un ventennio, la questione della partecipazione elettorale si pone inevitabilmente. Sono d’accordo che debbano essere evitati toni apocalittici o eccessivamente catastrofici. Anche perché la tematica è – come giustamente ha notato Paolo Segatti – normativamente scivolosa. La decisione di non recarsi alle urne può nascondere sia una forma di apatica adesione nei confronti del sistema politico sia un atteggiamento critico o di distacco verso i governanti di turno e il circuito della rappresentanza democratica. Può anche capitare che gli elettori passino, in modo intermittente, dall’apatia alla protesta, per poi rifluire, sulla base di proposte politiche più o meno credibili, tra le fila dei votanti. Ma questi atteggiamenti, sempre più mutevoli e volubili, devono essere analizzati con precisione e solo successivamente, sulla base di queste analisi, si possono esplorare tutte le motivazioni che orientano il comportamento elettorale degli italiani.

C’è, però, un aspetto che non mi trova in sintonia con la riflessione proposta da Segatti e riguarda la definizione della categoria di «elettore intermittente». A mio avviso, l’intermittenza della partecipazione elettorale o, vista dal lato opposto, dell’astensione è un fenomeno che riguarda un solo tipo di elezione. Per intenderci, ci può essere intermittenza quando un elettore decide di votare alle politiche del 2006, di astenersi nelle politiche del 2008 e poi di tornare nuovamente alle urne nelle politiche del 2013 (lo stesso discorso vale, ovviamente, per altri tipi di elezione, siano esse europee, regionali o amministrative). Quali siano i fattori che attivano questa intermittenza, se si tratti cioè di pigrizia o piuttosto di protesta espressa dai cittadini, è un argomento che va investigato, con tutti i dettagli del caso, ma che non deve essere utilizzato per analizzare il comportamento dei cittadini in altre arene elettorali. Il fatto che l’elettore sia intermittente, per esempio, alle politiche, ci dice poco sul suo atteggiamento/comportamento nelle consultazioni amministrative.

Per questo è bene tenere distinti i due piani. E per farlo è necessario introdurre una nuova categoria analitica, quella dell’elettore selettivo, la quale include tutti quegli elettori che scelgono, di volta in volta, per quale tipologia di elezione mobilitarsi. L’elettore selettivo, almeno come si sta profilando in Italia, soprattutto nelle regioni del Centro-nord, mostra un progressivo disinteresse nei confronti delle consultazioni locali (comunali o regionali), ma nello stesso tempo continua a partecipare, anche se con tassi calanti, alle elezioni politiche. Questa selettività dell’elettorato, spesso a danno delle competizioni municipali, ha almeno due significati. Da un lato, indica la prevalenza della proposta politica rispetto alla risposta degli elettori. Detto diversamente, i cittadini valutano il menu delle proposte che trovano sulla scheda e, sulla base di queste valutazioni, scelgono se recarsi o meno alle urne (e poi per quale forza politica esprimere la propria preferenze). Dall’altro lato, l’elevata astensione registrata, ormai da tempo, nelle elezioni locali, soprattutto in quelle regioni tradizionalmente molto partecipative, suggerisce l’esistenza di un problema specifico, che riguarda il funzionamento e il rendimento dei sistemi politici a livello regionale e municipale. Dunque, l’elettore può anche essere intermittente alle politiche o alle europee, ma ormai è chiaro che l’elettore selettivo si trova sempre meno a suo agio con la democrazia locale e si rifugia, di conseguenza, nell’astensionismo (per protesta, critica, apatia o disinteresse).

È ovvio, inoltre, che l’intermittenza possa sommarsi alla selettività degli elettori. Cioè a dire: è possibile che chi non trova ragioni per votare alle comunali non voti neppure alle politiche. Oppure, ed è questa l’ipotesi suggerita da Segatti, si può osservare una divergenza tra i due tipi di elettorato. Tuttavia, sulla base dei dati relativi a questa tornata di elezioni amministrative (riferiti ai 160 comuni superiori al voto) e in assenza di dati individuali più precisi, la comparazione tra l’affluenza alle elezioni politiche con quella delle amministrative nell’arco dell’ultimo ventennio segnala una tendenza comune per le due arene elettorali. In tutte le zone geopolitiche del paese, il trend della partecipazione elettorale è in diminuzione di circa 10 punti percentuali per le politiche e di 20 per le elezioni amministrative. L’unica parziale eccezione è rappresentata dalle regioni del Sud, dove la prevalenza di un orientamento particolaristico nei confronti della politica, ha frenato l’astensione nelle competizioni municipali.

Come mostrano questi dati e l’analisi qui solo abbozzata, è chiaro che non esiste alcun PdA, partito dell’astensione (da non confondere col più nobile Partito d’Azione). Questo partito non è un blocco monolitico che si sposta compatto di elezione in elezione e tra diversi tipi di consultazione. Al suo interno, come nella classica tradizione partitica italiana, troviamo molteplici sfumature, molte anime diverse e tante componenti disposte a cambiare orientamento ad ogni giro elettorale. Ciò nonostante, segnalare la crescita costante dell’astensionismo, per di più a livello locale dove il rapporto tra cittadini e politica dovrebbe essere più forte e stretto, è diverso dal produrre allarmismo. È soltanto un modo per indicare l’esistenza di una questione che la maggior parte dei politici (e anche degli studiosi) finge o preferisce non vedere. 

 

Figure 1-6. Percentuale di voti validi nei 160 comuni superiori ai 15.000 ab. al voto nel giugno 2017 nelle elezioni amministrative e nelle politiche (il dato 2017 è relativo al I turno)

Figura 7. Differenza in punti percentuali tra le prime elezioni e le ultime nel periodo 1993-2017 (comparazione tra politiche e comunali)

Fonte: Istituto Cattaneo.