Gli intellettuali «no Pass» hanno posizioni differenti, addirittura opposte, sulle alternative possibili. Alcuni, forse i più coerenti con le proprie premesse (il vaccino è «sperimentale», ossia non ha ancora superato la quarta fase della sperimentazione, che per tutti i farmaci richiede anni di studio post-commercializzazione), sono contrari all’obbligo vaccinale. Altri sono favorevoli, come Massimo Cacciari (almeno per la fascia anziana della popolazione) e Alessandro Barbero. Sui generis, come sempre, è la posizione di Agamben – per l’opposizione radicale alla biopolitica in generale piuttosto che per convinzioni antivaccinali. Agamben ha ripetutamente affermato il carattere biopoliticamente tirannico del Green Pass. Appare come il più coerente tra tutti gli intellettuali «no Pass» poiché fin dall’inizio della pandemia ha criticato ogni singola decisione emergenziale: il distanziamento sociale, i lockdown parziali e totali, le zone gialle arancioni e rosse, la vaccinazione e infine la «tessera verde», un’espressione che nella costellazione politica rossobruna (di cui Agamben certamente non fa parte anche se vi suscita simpatie) è citata nella dizione formulare «l’infame tessera verde». La coerenza è ulteriormente rafforzata dal fatto che per Agamben l’epidemia è, se non proprio un’invenzione, come scrisse all’inizio, certamente esagerata e strumentalizzata dal biopotere.

Strumentalizzata a quali fini? Mentre in Cacciari sembra leggersi un allarme per lo scivolamento della democrazia verso qualcosa di fondamentalmente diverso dalla democrazia, Agamben ha ripetutamente affermato nelle sue opere degli ultimi trent’anni che la democrazia capitalista è già sempre una inavvertita dittatura biopolitica, tendente all’annullamento di tutti i valori del bíos politikós e alla riduzione dell'essere umano a «nuda vita», zoé. Questa visione apocalittica della società contemporanea non lascia nessuno spazio per discutere della necessità di autodifesa del sistema sociale dal rischio di un collasso sanitario, e conseguentemente economico.

In effetti l’ultima proposta politica di Agamben è proprio un autoesilio dalla società, in particolare quella italiana governata da «una tirannide senza scrupoli e decisa a tutto», al fine di costituire comunità di anime belle legate dell’amicizia e dall’amore per lo studio fine a se stesso. Un vecchio ideale che riporta alla mente i falansteri e altri utopismi pulviscolari, concretamente sempre più accessibili nell’opulenta società neoliberale e di cui le gated communities costituirebbero un’ideale, estrema, attuazione. A differenza delle società segrete risorgimentali che cospiravano per rovesciare il tiranno, i Filadelfi del XXI secolo dovrebbero mettere in comune la loro orgogliosa alterità per sottrarsi alla morsa del biopotere, lasciandolo però regnare indisturbato sulle nude vite della vil razza governata. La tentazione di secessione o esodo dalla società era del resto già stata affermata da Agamben durante la prima ondata della pandemia, in particolare riguardo al mondo delle università («giunte a tal punto di corruzione e di ignoranza specialistica che non è possibile rimpiangerle»). In generale Agamben ha spesso ritratto come «dormiente» la maggioranza dell’umanità: il nostro mondo sociale è ineluttabilmente in rovina, la pandemia sarebbe solo il colpo di grazia inferto a una civiltà strutturalmente tramontante (per avere scisso bíos e zoé).

È interessante che questo comunitarismo apocalittico ed elitarista sembri oggi suscitare le simpatie di una certa sinistra radicale: si tratta di una definitiva rottura con Marx, e ancor di più con Gramsci e l’idea che gli intellettuali comunisti debbano esercitare egemonia culturale sull’intera società piuttosto che pensare a costruirsi paradisi artificiali e nicchie esistenziali su misura.

Nulla del genere si ritrova nelle parole di Massimo Cacciari, che solo recentemente ha preso posizione contro il Green Pass firmando insieme ad Agamben un testo ormai famigerato. Il filosofo veneziano, in passato, aveva ripetutamente espresso la convinzione della necessità della vaccinazione per uscire dalla pandemia e anche ora si dichiara favorevole all’obbligo. Per Cacciari l’opposizione al Green Pass è una questione politica di principio: il Green Pass minaccerebbe la democrazia stessa. La sua preoccupazione non riguarda però tanto i possibili pericoli concreti, come la sostituzione dei lavoratori in aziende con meno di 15 dipendenti, quanto la presunta irresponsabilità di una politica che si affidasse tecnocraticamente alla sola Scienza, senza curarsi dei dubbi legittimi (o forse no)  dei cittadini.

Anche lo storico Alessandro Barbero si è dichiarato contrario al Green Pass perché si tratterebbe di un’ipocrisia statale, una mancanza di coraggio di stabilire per legge l’obbligatorietà della vaccinazione e nel prendersi conseguentemente la responsabilità di eventuali effetti avversi (responsabilità invero già esistente). Barbero, che ha precisato di essere favorevole all'obbligo vaccinale, ha criticato lo strapotere delle aziende sui lavoratori quando il Green Pass è stato esteso per decreto a tutti i luoghi di lavoro. Una preoccupazione che sarebbe comprensibile se il Green Pass permettesse di discriminare arbitrariamente, ma il potere attribuito è potere di controllo su un decreto del governo avente forza di legge e non decisione sovrana sulla vita dei lavoratori. Allo stesso modo, il personale scolastico che non lascia entrare a scuola chi non abbia il Green Pass (studenti esclusi) non sta esercitando un ingiusto potere di discriminazione, ma tutela legalmente la salute della comunità scolastica.

Poiché gli oppositori del Green Pass citano frequentemente il secondo comma dell’articolo 32 della Costituzione («Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge») vale la pena di rileggere quali fossero le preoccupazioni dei costituenti (i dibattiti e le dichiarazioni di voto nelle commissioni della Costituente sono consultabili qui). Da una parte vi era la titubanza di un Aldo Moro che scorgeva nell’obbligo sanitario «un problema di libertà individuale che non può non essere garantito dalla Costituzione, quello cioè di affermare che non possono essere imposte obbligatoriamente ai cittadini pratiche sanitarie, se non vi sia una disposizione legislativa, impedendo, per conseguenza, che disposizioni del genere possano essere prese dalle autorità senza l'intervento della legge». Moro aveva in mente soprattutto il «problema della sterilizzazione e di altri problemi accessori» poiché «l'esperienza storica recente dimostra l'opportunità che nella Costituzione italiana sia sancito un simile principio».

Le due opposte posizioni, con la loro parte di ragionevolezza, possono forse orientare nell’attuale querelle sul Green Pass. Riprendendo la distinzione tra stato d’eccezione e stato d’emergenza, ossia, da una parte, tra una sospensione sine die della legge per fini sovversivi e, dall'altra, una sospensione temporanea per affrontare gravi emergenze, per esempio di tipo sanitario, si può affermare che da un anno e mezzo viviamo certamente in uno stato di democrazia d’emergenza. Anche se non appare giustificata la posizione di chi parla di sospensione o addirittura fine della democrazia per via di uno stato d’emergenza divenuto normale, e comunque di durata incerta, è una questione urgente e problematica comprendere come si possa oggi partecipare alla vita democratica del Paese pur lottando contro la pandemia.