Nei giorni scorsi, l’istituto Eures di Ricerche economiche e sociali ha pubblicato il Rapporto su caratteristiche, dinamiche e profili di rischio dell’omicidio in famiglia (qui la sintesi). Il rapporto merita attenzione non solo perché rappresenta la prima analisi in Italia dedicata specificamente a questo argomento, ma soprattutto perché inquadra, sulla base di un’ampia serie di dati statistici, l’omicidio famigliare nel contesto del fenomeno omicidiario a livello nazionale, ne riporta la dimensione e l’andamento negli ultimi venti anni (dal 2000), la caratterizzazione geografica e territoriale, esamina la relazione tra vittima e autore con particolare riguardo alle relazioni di parentela, affettive o funzionali esistenti tra i due e, significativamente, prende in esame anche la dinamica e lo strumento utilizzato per compiere l’omicidio. I dati forniti provengono dall’archivio Eures sugli omicidi volontari in Italia e sono stati incrociati con le informazioni analitiche del Dipartimento di Pubblica Sicurezza del ministero dell’Interno (Direzione centrale della Polizia criminale, Servizio analisi criminale). Il rapporto, innanzitutto, conferma quanto già evidenziato da precedenti studi. Il numero di omicidi nel nostro Paese è in costante calo dagli anni Novanta, tanto che – secondo i dati riportati da Eurostat – nel 2017 l’Italia, con un tasso di omicidi pari a 0,61 per 100mila abitanti, risulta essere uno dei Paesi dell’Unione europea con il livello più basso di omicidi, ampiamente al di sotto della media europea (1,4 per 100 mila abitanti).

La progressiva diminuzione degli omicidi non è però un fenomeno uniforme. Sebbene i dati forniti da Eures riguardo alla tipologia degli omicidi differiscano da quelli di altre ricerche (si vedano, ad esempio, M. Barbagli e A. Minello, L’inarrestabile declino degli omicidi e Istat, Le vittime di omicidio), tutti gli studi concordano nell’evidenziare, a partire dagli anni Novanta, una tendenziale contrazione del numero di omicidi attribuibili sia alla criminalità organizzata di tipo mafioso sia alla criminalità comune.

«Sul fronte opposto – nota il rapporto Eures – l’incidenza degli omicidi commessi nel contesto famigliare o affettivo (family and intimate homicide) si attesta mediamente nell’ultimo ventennio a valori pari o superiori a un terzo di quelli complessivamente censiti (3.539 in valori assoluti, pari al 33,5% tra il 2000 e il 2018), registrando il valore più elevato proprio nell’ultimo anno, quando ben il 49,5% delle vittime si inscrive in tale contesto (rappresentavano il 29,8% nel 2000)». Nel 2018, su un totale di 329 vittime di omicidio volontario ben 163, cioè poco meno della metà, sono infatti riconducibili alla sfera familiare o affettiva.

Le vittime di omicidio di genere femminile sono così passate da circa il 25% del totale nei primi anni Duemila a quasi il 40% nell’ultimo anno

Al progressivo spostamento del fenomeno omicidiario dagli ambiti tipicamente criminali verso la sfera privata, affettiva e di prossimità è seguita una «costante e crescente femminilizzazione del fenomeno» – evidenzia Eures: le vittime di omicidio di genere femminile sono così passate da circa il 25% del totale nei primi anni Duemila a quasi il 40% nell’ultimo anno. Questa tendenza è ancora più evidente se si considerano gli omicidi nell’ambito famigliare e in particolare all’interno della relazione di coppia, in essere o passata: è in questo contesto «che trovano la morte circa i tre quarti delle vittime femminili di omicidio (2.265 vittime tra il 2000 e il 2018, pari al 72,5%)». Per quanto riguarda invece gli uomini, la famiglia, pur rappresentando un ambito di rischio crescente (con 1.274 vittime complessive tra il 2000 e il 2018, pari al 17,1% del totale delle vittime maschili), costituisce il terzo contesto omicidiario per numero di vittime, dopo quello della criminalità comune (2.570 vittime, pari al 34,6% di quelle censite tra il 2000 e il 2018 a fronte del 16,1% tra le donne, con 504 vittime) e della criminalità organizzata (2.039 vittime, pari al 27,4% degli uomini uccisi nell’intero periodo considerato, contro appena l’1,6% delle donne, con 50 vittime di mafia in 19 anni). In sintesi, l’ambito famigliare arriva ormai a costituire il contesto omicidiario quasi esclusivo per le vittime femminili, visto che ben l’83,4% delle 130 donne uccise in Italia nel 2018 ha trovato la morte per mano di un familiare o di un partner o ex partner.

L’ampia trasformazione del fenomeno omicidiario dal contesto propriamente criminale a quello famigliare e di prossimità farebbe presumere anche una rilevante differenza nella dinamica di esecuzione e, soprattutto, nei mezzi e negli strumenti impiegati per compierlo. Nel pensiero comune, infatti, le armi da fuoco, per quanto illegalmente detenute, rappresentano lo strumento più usato dalle organizzazioni mafiose e della criminalità comune, mentre sarebbero altri e più a portata di mano gli strumenti usati negli omicidi di tipo famigliare e tra conoscenti.

Sono invece le armi da fuoco lo strumento più frequentemente utilizzato anche negli omicidi in famiglia e nell’ambito di prossimità: ammontano, infatti, a 1.139 le vittime degli omicidi in famiglia uccise con un’arma da fuoco tra il 2000 e il 2018 (il 32,2% del totale), mentre risultano invece 1.118 gli omicidi familiari commessi con armi da taglio (il 31,6%), 550 quelli con armi improprie o percosse (il 15,5%) e 426 i casi di strangolamento e soffocamento (il 12%). Soprattutto nel 2018, l’arma da fuoco risulta lo strumento più utilizzato negli omicidi in famiglia (65 vittime, pari al 39,9% del totale), prevalendo in misura significativa sull’arma da taglio (40 casi, pari al 24,6%). Le armi da fuoco costituiscono anche il principale strumento utilizzato dagli uomini negli omicidi di coppia per uccidere le proprie compagne/ex compagne (con 489 vittime, pari al 32,6% del totale tra il 2000 e il 2018), mentre le donne utilizzano soprattutto armi da taglio. Nel 2018, l’arma del delitto più utilizzata negli omicidi di coppia risulta sempre l’arma da fuoco: oltre un terzo delle vittime all’interno della coppia sono state infatti uccise con un’arma da fuoco (29 in valori assoluti, tutte di sesso femminile), più che raddoppiate rispetto alle 14 vittime del 2017 (anche in questo caso tutte donne).

Non solo. Nel periodo 2000-2018 le armi da fuoco sono state lo strumento più utilizzato anche nell’omicidio dei figli, i figlicidi: sono state, infatti 153 le vittime, pari 32,3%. L’incidenza delle armi da fuoco è fortemente cresciuta nel 2018, anno in cui oltre la metà di questi eventi (16 vittime, pari al 51,6%) è stata commessa proprio con armi da fuoco. Anche in questo ambito, sono i padri ad utilizzare in misura quasi esclusiva le armi: su 153 figlicidi compiuti con un’arma da fuoco tra il 2000 e il 2018, ben 140 sono stati infatti commessi dal padre.

L’arma del delitto più utilizzata negli omicidi di coppia risulta sempre l’arma da fuoco

Il rapporto di Eures dedica una iniziale specifica attenzione anche alla modalità di acquisizione delle armi utilizzate negli omicidi in famiglia e nelle coppie. Sulla base delle informazioni accessibili da fonti aperte (giornali, internet, ecc.), nel 2018 in almeno 42 casi (pari al 64,6%) negli omicidi famigliari, l’assassino risultava in possesso di un regolare porto d’armi, di cui in 10 casi per motivi di lavoro, mentre nei restanti 23 casi (pari al 35,4%) l’arma utilizzata non risultava regolarmente detenuta. Il dato è compatibile con le informazioni presenti nel database dell’osservatorio Opal che nel 2018 riporta 52 casi di omicidi, di ogni tipo, con armi legalmente detenute. Sempre nel 2018, nei femminicidi di coppia, in 20 casi (pari al 69% del totale dei compiuti con un’arma da fuoco) l’omicida deteneva regolarmente l’arma di cui si è servito per uccidere la propria compagna: in 5 casi il porto d’armi era stato rilasciato per motivi di lavoro, trattandosi di 4 guardie giurate e di un finanziere. Minoritari risultano invece i casi in cui l’autore ha ucciso la propria compagna o ex compagna servendosi di un’arma detenuta irregolarmente (9 vittime, pari 31% dei casi).

Il tema dell’incidenza delle armi da fuoco sugli omicidi è complesso ed andrebbe approfondito sulla base di dati per un periodo temporale maggiore tenendo conto sia degli omicidi compiuti dai legali detentori di armi, civili e militari, con armi regolarmente detenute, sia di quelli in cui le armi da fuoco sono state utilizzate per commettere un omicidio da parte di un familiare del detentore della licenza, sia infine degli omicidi compiuti con armi che un regolare detentore si è illecitamente e appositamente procurato per non lasciare tracce e depistare le indagini riguardo all’omicidio. Significativamente, il rapporto evidenzia che «l’arma del delitto costituisce una delle informazioni fondamentali per valutare gli aspetti ideativi, operativi, intenzionali e simbolici che caratterizzano l’azione omicidiaria». In altre parole, l’arma del delitto, soprattutto nel caso delle armi da fuoco utilizzate negli omicidi familiari e di coppia, non costituisce solo un mero strumento per eseguire un assassinio, ma «condiziona lo svolgersi dei fatti e della interazione tra autore e vittima della dinamica delittuosa, anche perché agisce da pregnante fattore psicologico nell’ideazione e/o nell’estrinsecazione dell’azione delittuosa stessa» (F. De Fazio, S. Luberto, I. Galliani, Il ruolo criminogenetico e criminodinamico delle armi da fuoco nell’omicidio, in Fenomenologia dell’omicidio a cura di G. Canepa, Giuffrè, 1985). In particolare, l’arma rappresenta un elemento di particolare rilevanza nell’immaginario simbolico ed ideativo specialmente dei legali detentori di armi, non esclusi coloro che le detengono per professione (militari, guardie giurate, ecc.) e coloro che, in età anziana, si trovano a dover affrontare una condizione di estrema vulnerabilità propria e del partner o di un familiare (grave malattia, marginalità, dipendenze, ecc.) che viene valutata come insostenibile.

Nonostante la disponibilità legale di armi sia limitata in Italia, il numero di omicidi familiari e di coppia compiuti con armi regolarmente detenute nel 2018 e la loro incidenza sul totale rappresenta quindi una questione da approfondire e, come evidenzia il rapporto, conferma già da ora «la necessità di controlli più accurati, soprattutto in presenza di situazioni stressanti o comunque “a rischio”, come una separazione o la grave malattia di un familiare stretto».

La questione è quanto mai attuale, in considerazione anche delle recenti modifiche alla legge sulla legittima difesa soprattutto per evitare che le armi da strumento difensivo contro eventuali minacce esterne si trasformino nello strumento offensivo diretto contro i propri cari. Da mezzo, cioè, per un’ipotetica legittima difesa all’attrezzo più usato per l’illegittima offesa.