Nell’estate del 2019 il «Centro Luigi Bobbio» dell’Università di Torino ha svolto un’indagine sulle rappresentazioni sociali dello sviluppo, intervistando un ampio campione di cittadini italiani e piemontesi. La ricerca, realizzata prima dell’esplosione dell’emergenza Covid-19, restituiva uno sguardo molto preoccupato sul futuro del nostro Paese. Una sensazione di declino che, seppure non inevitabile, veniva percepita come altamente probabile. Proiettandosi in un orizzonte temporale di dieci anni, il 39% degli italiani immaginava una situazione sociale ed economica peggiore rispetto a quella allora presente. Il pessimismo, in particolare, prevaleva tra i giovani, i ceti popolari e i lavoratori autonomi.

Il futuro immaginato dagli italiani per il prossimo decennio è più positivo di quanto non lo fosse prima della pandemia. Oltre i due terzi degli intervistati pensano che stiamo vivendo una fase di grande trasformazione che può creare molte opportunità

L’indagine è stata ripetuta nel giugno 2021: la pandemia ha cambiato radicalmente lo scenario, rilanciando l’ottimismo. Quest’ultimo denota un atteggiamento positivo verso il futuro, che induce a ritenere più probabile il verificarsi di avvenimenti favorevoli piuttosto che il contrario (O. Bennet, Cultures of Optimism, «Cultural Sociology», vol. 5, n. 2, 2011, pp. 301–320). Si tratta perciò di un modo particolare di guardare al domani, anticipando delle previsioni positive. Ciò che possiamo dire oggi sul nostro Paese, è che il futuro immaginato dagli italiani per il prossimo decennio è più positivo di quanto non lo fosse prima della pandemia. Oltre i due terzi degli intervistati (13 punti in più rispetto al 2019), infatti, pensano che stiamo vivendo una fase di grande trasformazione che può creare molte opportunità. L’indice di ottimismo è tornato positivo, recuperando ben 22 punti percentuali in soli due anni. Si registra un’elevata fiducia nel cambiamento tecnologico e nei progressi che verranno compiuti nell’istruzione, nella sanità pubblica e nella sostenibilità ambientale. Su tutte le questioni sottoposte agli italiani si registrano dei miglioramenti significativi, anche se le aspettative sul reddito, la coesione sociale e la qualità istituzionale rimangono negative.

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Chi sono i più ottimisti? Non sorprendentemente sono i soggetti socialmente centrali, coloro cioè che in virtù della loro condizione socio-anagrafica, educativa e professionale possiedono più risorse e migliori chance di vita. I ceti superiori, gli uomini, le persone maggiormente istruite e quelle al di sotto dei 45 anni. I dati più interessanti, però, sono quelli di flusso – cioè i miglioramenti rispetto a due anni prima – poiché forniscono delle prime indicazioni sul senso di questo cambiamento di umore. Tutte le categorie sociali mostrano dei progressi, ma quelli più evidenti si registrano tra coloro che hanno sofferto di più gli effetti della pandemia: gli anziani (+40%), le donne (+25%), gli imprenditori (31%), i lavoratori autonomi (38,5) e quelli del commercio e della ristorazione (+59%).

Questa ventata di ottimismo può rappresentare un semplice contraccolpo congiunturale alla crisi. Tuttavia è benefica per l’Italia, specialmente dopo il lungo periodo di depressione collettiva che ha frenato le nostre energie più vitali. I sociologi, infatti, conoscono molto bene il teorema di Thomas, secondo il quale «se gli uomini definiscono certe situazioni come reali, esse sono reali nelle loro conseguenze». È a partire da questo teorema che Robert Merton ha elaborato la celebre formula delle «profezie che si auto-avverano» per il solo fatto di essere state espresse, poiché coloro che ci credono modificano il proprio comportamento, contribuendo così a realizzare l’evento predetto (Teoria e struttura sociale, vol. II, Il Mulino, 1971).

Questo atteggiamento più positivo verso il futuro, perciò, rappresenta una «profezia positiva» per il nostro Paese. Esiste una copiosa letteratura economica, sociologica e psicologica che mostra gli effetti benefici dell’ottimismo sugli equilibri macro-economici, sulle decisioni di investimento e di consumo, sulle performance organizzative e imprenditoriali, sulle relazioni sociali, sulla salute e sul benessere personale. Particolarmente sottolineata è l’influenza positiva esercitata, a livello individuale e collettivo, sulla resilienza allo stress e sulla capacità di reazione alle crisi. Il nesso inverso, che ci aiuterebbe a spiegare i risultati della nostra survey, risulta tuttavia meno esplorato. Perché l’emergenza pandemica ha innescato una spirale di ottimismo in una società invecchiata e stagnante come la nostra, anziché rinforzarne il pessimismo precedente? Questo esito non era affatto scontato tenendo conto che numerosi studi a livello internazionale mostrano l’aumento degli stati di ansia e di depressione legati alla pandemia, non solo sui pazienti e sul personale sanitario, ma anche sulla popolazione in generale. E c’è una crescente attenzione per gli effetti di lunga durata dei disturbi post-traumatici.

Perché l’emergenza pandemica ha innescato una spirale di ottimismo in una società invecchiata e stagnante come la nostra, anziché rinforzarne il pessimismo precedente?

D’altra parte, gli storici hanno messo in luce come crisi, catastrofi e pandemie hanno favorito processi di profondo mutamento sociale. Come è stato ad esempio osservato a proposito di un grave terremoto che provocò morte e distruzione in Calabria nel Settecento: «a mano a mano che la vita riprende il suo corso normale, questa ripresa viene avvertita come rinascita», tanto che «un nuovo mondo sembra offrirsi a nuovi occhi» (A. Placanica, Il filosofo e la catastrofe. Un terremoto del Settecento, Einaudi, 1985, p. XI). Questa situazione si è verificata spesso storicamente, soprattutto dopo eventi che sembravano approssimare la «fine del mondo».

Anche i nostri dati mettono in luce gli «aspetti generativi» della crisi. Per capirne il meccanismo psico-sociale abbiamo raccolto alcuni spunti offerti dalla cosiddetta «psicologia dell’emergenza», un filone di studi che si occupa delle risposte adattive e reattive della popolazione in occasione di catastrofi, attentati terroristici e guerre. Questo tipo di eventi critici inaspettati induce delle cesure cognitivo-emozionali nel vissuto e nelle relazioni sociali di una comunità, interrompendo le routine consolidate e la linea di continuità temporale che unisce il passato, il presente e il futuro nelle storie individuali e collettive. Il trauma, l’ansia, l’incertezza radicale che si sperimentano in queste situazioni altera i consueti meccanismi di path-dependency temporale, per cui le esperienze fatte nel passato, non solo influenzano il presente ma si proiettano anche sul futuro. A seguito di eventi catastrofici, però, non è infrequente che si generino dei «blocchi temporali» nel vissuto delle persone, che possono rimanere intrappolate nel presente e nel rimuginare il passato, inducendo così dei disturbi post-traumatici. Per evitare questo esito disfunzionale, nelle fasi di ricostruzione, vengono usati dei «metodi narrativi» che, mediante il racconto dei vissuti personali e delle storie di resilienza e di ripresa, aiutano a riparare il filo di continuità temporale spezzato nelle identità degli individui e delle comunità (M.T. Fenoglio, L’utilizzo della narrazione come supporto e auto-supporto dei soccorritori, Kit di supporto di secondo livello per coordinatori e operatori degli interventi psicosociali nella pandemia da Covid-19, 2020, p. 27).

In situazioni di crisi può essere dunque importante sviluppare ciò che l’antropologo Arjun Appadurai ha chiamato «capacità di aspirare», vale a dire di immaginare un orizzonte e di «proiettarsi nel futuro, in termini di progetti, speranze, scopi, obiettivi» (Le aspirazioni nutrono la democrazia, et al./edizioni, 2011, p. 5). Per essere produttiva, la capacità di aspirare deve essere però accompagnata dalla capacità di voice, nel senso che le aspirazioni devono trovare spazio nella sfera pubblica e politica, in modo da trasformarsi in pratiche e innescare processi di mutamento collettivo.

Questi spunti ci sembrano di grande interesse per spiegare il cambiamento di atteggiamento registrato nell’opinione pubblica italiana, una volta reinterpretati e riletti all’interno di un frame sociologico. Come è stato osservato, infatti, una «cultura di ottimismo» ha bisogno di essere radicata in istituzioni sociali che la promuovono e la incoraggiano (Bennet, Cultures of Optimism. cit.). Come abbiamo anticipato, l’uscita in positivo dalla crisi non era affatto scontata viste le esperienze precedenti del nostro Paese. Tuttavia, in questa occasione, la gestione della pandemia da parte delle istituzioni pubbliche è stata valutata positivamente dai cittadini. Le risposte fornite nel periodo dell’emergenza sono state percepite come adeguate: il 79% degli intervistati si dichiara soddisfatto delle misure sanitarie adottate dal governo e il 62% di quelle socio-economiche. Anche i progetti pensati per la ripresa vengono giudicati bene: quasi l’80% ritiene efficaci gli interventi previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. In conseguenza di ciò la fiducia verso l’Unione europea (68%), lo Stato (60%) e il governo italiano (56%) sono notevolmente aumentati rispetto a due anni fa. Esiste, inoltre, un chiaro nesso tra fiducia istituzionale e ottimismo sociale. I nostri dati mostrano che, tenendo sotto controllo altre condizioni, quest’ultimo aumenta proprio tra coloro che nutrono più fiducia nello Stato ed esprimono i giudizi più positivi sulla gestione della pandemia.

Il populismo dilagante nelle democrazie avanzate ci porta spesso a sottovalutare le funzioni insostituibili che le istituzioni pubbliche svolgono per mantenere la coesione sociale, specialmente nei momenti di crisi

Questo è il punto su cui intendiamo attirare l’attenzione in conclusione della nostra riflessione. Il populismo dilagante nelle democrazie avanzate ci porta spesso a sottovalutare le funzioni insostituibili che le istituzioni pubbliche svolgono per mantenere la coesione sociale, specialmente nei momenti di crisi. Il Next Generation Eu lanciato dall’Europa e il sostegno fornito dallo Stato ai cittadini durante l’emergenza hanno svolto una funzione essenziale di rassicurazione per il presente e fornito una narrazione quasi-terapeutica per il futuro. È questo, a nostro avviso, che può aver indotto molti italiani a pensare con ragionevole ottimismo ai prossimi anni, favorendo la loro capacità di aspirare. Nella cultura occidentale e in quella italiana, in particolare, ragione e ottimismo vengono accostati con difficoltà, specialmente con riferimento alla sfera pubblica. E tuttavia, in questa occasione, i cittadini sembrano essersi lasciati spronare da una perla di saggezza racchiusa in un aforisma di Seneca:«Anche se il timore avrà più argomenti, scegli la speranza e metti fine alla tua angoscia» (Lettere a Lucilio, libro II, cap. 13).