Visioni apocalittiche accompagnano questo nostro autunno: alluvioni, frane e smottamenti. Fisici e politici. Il territorio si rivolta e continua a lanciare drammatici segnali d’allarme. L’eccezionalità delle piogge si accompagna all’incuria lungo i decenni, aggravando il cosiddetto rischio idrogeologico. Conviene dunque non lasciarsi distrarre troppo dai gadget elettronici che occupano i nostri viaggi attraverso il Belpaese, e riprendere l’antica abitudine di osservare il paesaggio dal finestrino. Così facendo, non soltanto la cementificazione fuori controllo, o peggio ancora normata in mal modo, ma anche la cattiva manutenzione ordinaria dei boschi, dei pascoli, delle strade ci accompagnerà per molti chilometri. Al cemento continuano a ricorrere gli enti locali per far fronte alle ridotte entrate. Abolita l’odiosa Ici sulla prima casa, in tante situazioni gli oneri di urbanizzazione sembrano l’unica via possibile per rimediare in qualche modo ai conti in rosso. La cultura di fondo fortemente sostenuta da questo governo “liberalizzatore” fa il resto. Un ampliamento di qua, un condono di là, il nostro territorio continua a caratterizzarsi per l’eccezionalità degli interventi, oltre che per la varietà e la stranezza delle forme, dalla casa a pagoda nelle Langhe alla baita alpina nel Salento. Salvo poche eccezioni, i comuni faticano a svolgere adeguatamente la loro opera di controllo, spesso per mancanza di volontà, molte volte per mancanza di possibilità. Il censimento degli edifici, anche grazie alla mappatura aerea, potrebbe rappresentare un valido aiuto, ma mancano le risorse. Così poco alla volta, e inesorabilmente, nuove costruzioni prendono il posto degli spazi vuoti cui eravamo abituati. E con loro i servizi necessari, a cominciare dalle strade e dalle altre opere di urbanizzazione.
Se alle nuove costruzioni si aggiunge la manutenzione carente del territorio, nel senso più ampio possibile, il quadro è completo: dai più piccoli canali di scolo che dovrebbero costeggiare le strade secondarie all’incuria e allo sfruttamento degli alvei fluviali, alla loro ostruzione e alle conseguenti ridotte capacità di deflusso, da più parti si possono cogliere i segnali dell’abbandono. La compagnia dei cavatori non conosce crisi e i fiumi continuano a impoverirsi. Le nuove regole a tutela dell’ambiente che hanno migliorato la normativa degli ultimi decenni non paiono sufficienti ad arginare gli abusi, come dimostrano vari episodi recenti, a cominciare da quello che nel febbraio scorso ha visto protagonista il fiume Lambro. L’ambiente continua così a essere considerato l’archetipo dei non-problemi. Una preoccupazione per signorine che non sanno come va il mondo. Un problema ignorato a tal punto da scatenare paradossalmente l’ira del meno “verde” e più nuclearista tra i ministri dell’Ambiente nei confronti dell’attuale titolare del dicastero dell’Economia.
Ma se in Italia l’opera di disinteresse pressoché generalizzata per le questioni ambientali prosegue e non si riesce a comprendere il valore dell'investimento in ordinaria manutenzione, come è possibile credere in una inversione di rotta? Come ha scritto ieri sul "Corriere del  Mezzogiorno" Tomaso Montanari, "quanti altri monumenti dovranno crollare per convincerci che il patrimonio storico e artistico della nazione non è né un pozzo di petrolio, né un luna park ma un organismo fragile, prezioso che dobbiamo conoscere, amare e trasmettere integro alle prossime generazioni?".
Crollano i fianchi delle montagne; crollano i resti più preziosi di una civiltà antica come quella pompeiana. E forse a breve crolleranno anche governo e governanti. Ma chi e come ricostruirà sulle macerie?