Nelle ultime settimane alcuni giovanissimi si sono ritrovati protagonisti al centro dell’informazione. Non ci riferiamo in questo caso ai commenti sulla Next Generation Eu, purtroppo. Quanto piuttosto a casi di cronaca: Seid Visin, il ventenne di Nocera Inferiore promessa del calcio, che si è tolto la vita; Saman Abbas, la diciottenne scomparsa e di cui pare ormai certa l’uccisione da parte dei parenti, per essersi ribellata al patriarcato della cultura di origine, avvicinandosi invece ai costumi occidentali; Elena Livigni Jimenez, la studentessa modello milanese precipitata dal balcone di un albergo di Ibiza, per la cui morte le ipotesi che circolano rimandano al suicidio o all’assassinio da parte del fidanzato. Ma anche Ciro Grillo e i suoi amici, accusati di stupro nei confronti di due coetanee, coperte da una patina di riservatezza così sottile da renderle riconoscibili a molti.

L’improvvisa, spesso morbosa, rilevanza di notizie drammatiche intorno a giovani vite è indizio di quanto sia pericoloso fare generalizzazioni partendo da storie personali. Di quanto la progressiva tendenza all’intimizzazione, tanto delle vittime quanto dei presunti colpevoli, possa far scivolare la popolarizzazione dell’informazione in una sua insopportabile banalizzazione. Si indugia su particolari che si rivelano poi del tutto marginali e si persevera in narrazioni precostituite. Si prediligono letture emozionali che rafforzano sentimenti e posizioni radicali. Non ci si lamenti, poi, se ne derivano sfiducia e scetticismo, nonché dai più fragili - i cosiddetti «leoni da tastiera» - invettive via social.

Particolarmente emblematica la storia di Seid Visin. L’Istat riporta che la media annua di suicidi in Italia - sebbene in netto calo - nell’ultimo quinquennio è compresa fra i 3.500 e i 4.000 casi. Se si restringe alla fascia d’età che va dai 15 ai 29 anni, si registrano circa 500 suicidi l’anno, con un’incidenza molto netta del genere: 3 su 4 sono maschi. Inoltre, tra gli under 30 il suicidio rappresenta la causa di morte nel 15% dei casi.

Stando alle statistiche, avviene più di un suicidio al giorno. Allora perché tanta attenzione? Per ciò che gli studiosi di giornalismo definiscono "valori-notizia"Non è per niente cinico, allora, affermare che quello di Seid Visin non è purtroppo un gesto isolato: stando alle statistiche, ne avviene più di uno al giorno. Allora perché tanta attenzione? Per ciò che gli studiosi di giornalismo definiscono «valori-notizia». Il ragazzo era un possibile futuro campione di calcio, arrivato a dividere camerate e spogliatoi con due calciatori della nazionale: Donnarumma e Locatelli, i cui ricordi, infatti, sono stati ripresi da tutti i giornali. L’altro valore-notizia è ancora più rilevante: Seid era un ragazzo italiano, ma di origini etiopi - e quindi di pelle nera – adottato all’età di sette anni. Inoltre, due anni fa aveva scritto una lettera – consegnata da un’amica alla madre il giorno dei funerali - in cui denunciava le vessazioni subìte - o comunque il disagio percepito - a causa del colore della pelle. E così, titoloni sul razzismo degli italiani; giornalisti, influencer e politici che gareggiano nel cospargersi il capo di cenere.

Non sono bastate nemmeno le precisazioni del padre, tese a specificare come le ragioni fossero più profonde. Del resto è evidente come dietro ogni suicidio ci sia un dedalo di cause, tormenti, relazioni irrisolte che nemmeno il più retrivo positivista d’antan potrebbe attribuire a un solo motivo. Ma non serve. Ormai, la lunga litania delle responsabilità è partita. È la narrazione appiattita sulla vicenda del povero ragazzo ferito dal razzismo dei connazionali.

Eppure, se davvero volessimo rendere omaggio a Seid, dovremmo porci soltanto qualche domanda. Ci rendiamo conto soltanto ora di come l’Italia da decenni sia stretta in una morsa di estrema diffidenza nei confronti dei migranti? Possiamo davvero stupircene, visto che continuiamo ad avere leggi imbarazzanti sull’immigrazione che non modifichiamo per paura di perdere voti?

Se i tanti commentatori che si sono lanciati senza perder tempo a dare spiegazioni sulle cause del suicidio avessero almeno scorso il testo della lettera di questo ragazzo, calciatore e lettore di Omero e Dostoevskij, forse si sarebbero accorti che il passo più interessante di quelle righe sta nell’amara constatazione di come negli anni il colore della sua pelle si fosse tramutato da curiosa simpatia – tipica dell’eccezione - in aperta ostilità, quando quel colore è diventato evidenza quotidiana. È su questo che Seid ci invita a riflettere: a non ricorrere all’indignazione, ma a chiedersi con determinazione e umiltà quale sia la via che porta dalla diffidenza all’accettazione della differenza.

Seid ci invita a non ricorrere all’indignazione, ma a chiedersi con determinazione e umiltà quale sia la via che porta dalla diffidenza all’accettazione della differenza

Se tentatissimo questo semplice esercizio di comprensione potremmo rendere omaggio anche alla giovane Saman, discriminata in famiglia proprio dalle tante asperità delle integrazioni culturali, che richiedono meno dichiarazioni di principio e maggiori capacità nel dialogare anche con chi sostiene pratiche per noi allucinanti. Per essere più chiari, che cosa stiamo facendo davvero per evitare altri casi come quello di Saman?

Tornando per un attimo ai dati Istat, in un Paese come il nostro che ha cancellato dal Codice il delitto d’onore meno di 50 anni fa, il 21% (4 milioni e 520 mila) delle italiane d’età compresa fra i 16 e i 70 anni ha subìto violenza sessuale. Il 5,4% (1 milione 157 mila) nelle forme più gravi, come lo stupro (652 mila) o il tentato stupro (746 mila).

Anche di tutto questo, l’informazione parla soltanto in alcuni casi. Anni fa una giornalista mi raccontò un episodio che le era capitato in redazione, quando le arrivarono i lanci d’agenzia di due differenti stupri compiuti nello stesso giorno e nella stessa città, Napoli. In un caso a essere violentata era stata una giovane autoctona, vittima di un immigrato irregolare; nel secondo caso la vittima era una ragazza proveniente dal Nord Africa, ma il suo stupratore un napoletano. Le cronache – ce ne stupiamo forse? ‑ s’interessarono soltanto al primo dei due episodi.

Nel caso che vede coinvolto Ciro Grillo con l’accusa di stupro abbiamo assistito a una sorta di inconsueto interesse a scoppio ritardato. Subito dopo la denuncia era stata data notizia dell’accusa, poi la cosa era rientrata in un decoroso riserbo. A far riemergere il caso è stata l’intemerata difesa del figlio da parte di Beppe Grillo, che ha dato la stura a decine e decine di pagine di giornali, servizi televisivi, commenti di ogni tipo. Dei presunti colpevoli, così come – ancora più grave - delle loro presunte vittime siamo venuti a sapere quasi tutto. Compresi particolari del tutto insignificanti. Insomma, colpevoli o innocenti che siano gli uni o gli altri, l’aggravante è stato essere coinvolti in questa triste storia insieme al figlio di un personaggio famoso.

Ripetiamo con crescente quanto insopportabile monotonia che dobbiamo riservare un futuro migliore ai ventenni di oggi: ma allora quali sono i criteri di notiziabilità da rispettare per tutelarli dagli effetti dannosi del ritrovarsi catapultati sulla scena pubblica?