La Quinta Repubblica francese sta dando una nuova prova della sua efficienza e della sua vitalità. Le elezioni presidenziali, che appassionano moltissimo gli elettori, hanno designato François Hollande il 6 maggio, la sera del secondo turno, con il 51,68% dei voti. Qualche giorno più tardi, non appena concluso il passaggio delle consegne, è stato costituito il governo. Altrettanto velocemente il nuovo governo si è messo al lavoro, avviando immediatamente alcune delle riforme promesse in campagna elettorale, in particolare in materia sociale e pensionistica.

Successivamente, il 10 e il 17 giugno, le legislative hanno dato ai socialisti una maggioranza assoluta: in questo modo non dipenderanno dal sostegno dei loro alleati verdi e, cosa ancora più importante, da quello dei deputati del Front de gauche. La destra perde più di un centinaio di seggi ed entra in un momento di grande turbolenza. Ritiratosi Nicolas Sarkozy dalla vita politica (provvisoriamente o definitivamente, solo il futuro potrà dirlo), il partito affronterà una guerra intestina per la leadership e dovrà chiarire la sua strategia in rapporto al Front national, che ottiene due deputati per la prima volta dal 1986 (quando era stato favorito dall’entrata in vigore eccezionale di uno scrutinio proporzionale). Una vittoria, quella del Front national, più che simbolica: dimostra la forza del partito e quella personale di Marine Le Pen, che non è più semplicemente la figlia di suo padre.

Dall’Eliseo, il presidente Hollande ha dunque tutte le carte in mano per il suo quinquennato. Può contare sul suo Primo ministro, che esiste politicamente poiché lui lo ha nominato; su una maggioranza parlamentare di sinistra che si concretizza nel controllo delle presidenze dell’Assemblea nazionale e, per la prima volta nella storia della Repubblica, del Senato; infine, sul sostegno delle regioni, dato che una sola métropole è governata dalla destra. Ma le difficoltà cominciano adesso. Innanzitutto, poiché la democrazia francese non è così idilliaca come può sembrare in apparenza. I candidati populisti hanno ottenuto un terzo dei voti al primo turno delle presidenziali. L’astensione alle legislative è stata alta. Una gran parte degli elettori non si sente rappresentata da uno scrutinio uninominale maggioritario a doppio turno. La diffidenza verso la politica è forte. In secondo luogo, poiché l’economia va male e la situazione sociale si sta degradando. François Hollande è stato prudente e ha sviluppato una strategia riformista alla francese. Dovrà districarsi tra il suo obiettivo di risanare i conti pubblici e le sue promesse. Infine, a livello europeo, Hollande ha alimentato molte speranze mettendo fine alla politica Merkel-Sarkozy e impegnandosi per una ripresa della crescita. Ma una vera alternativa è ancora tutta da definire. Cosa che presuppone un compromesso con la Germania, difficile da trovare: il tempo stringe, i mercati premono e l’opinione pubblica appare sempre più inquieta.