Il dialogo politico e i processi evolutivi di Gorizia, anche per la distanza dal centro nazionale e l’adiacenza a diversi confini europei, si collocano in equilibrio dinamico intrecciando dimensioni storiche, culturali ed etnico-linguistiche. Nel corso della storia la città ha declinato la sua essenza di crocevia, frontiera tra l’Europa centrale e quella meridionale, e centro di incontri e di scontri. Se quello della «Mitteleuropa», che ha trovato vita nella cultura e nella letteratura, è rimasto un concetto senza riscontri effettivi nella realtà, si adatta però perfettamente a un valido idealtipo per identificare Gorizia come rappresentante dell’ideale milieu mitteleuropeo. Qui hanno convissuto le tre principali famiglie europee: germanica, slava e latina, e la matrice multiculturale è fin dagli esordi iscritta nel suo nome: «Goritia» è la parola latina apposta nel primo documento di cui si ha traccia (23 aprile 1001), variante slovena di «Gorica» (piccola montagna, collina); «Gurìze» è il suo nome in friulano, «Görz» quello tedesco. Oggi un confine liquido, delineato dal fiume Isonzo, unisce e separa il Carso, l’alta e la bassa pianura e la laguna, collegando la Slovenia all’Italia e identificando la provincia stessa con il Collio.

Quella di Gorizia è una storia che, dalla cessione di parte del territorio all’allora Jugoslavia alla fine della Seconda guerra mondiale, è sempre stata fortemente legata a quella del confine e della nuova città sorta a ridosso: Nova Gorica. La contrapposizione ideologica della Guerra fredda si scontrava con una realtà quotidiana che, di fatto, liberalizzava il confine e rendeva le differenze di prezzo, le opportunità lavorative, le agevolazioni economiche, le occasioni di svago, ecc., un vantaggio per aziende e cittadini. Il confine, da barriera, si stava trasformando in un soffietto che si apriva e si chiudeva, favorendo o limitando l’integrità e l’integrazione delle due città. Le relazioni che si sono venute a creare hanno originato delle reti che hanno attenuato l’omogeneità politica e culturale delle singole città e dato vita a forme differenziate di integrazione: nei servizi, nel lavoro, nelle manifestazioni culturali, nelle relazioni familiari e amicali, ecc. Emblematico è stato l’invito agli Stati generali dei comuni d’Europa, tenutisi a Berlino, da parte del cancelliere Willy Brandt nel 1967 ai due sindaci di allora, Michele Martina e Jožko Štrukelj, per raccontare le loro iniziative comuni.

Il confine, da barriera, diventò un soffietto che si apriva e si chiudeva, favorendo o limitando l'integrazione delle due città e attenuandone l’omogeneità politica e culturale

Dagli anni Novanta del secolo scorso, il processo di avvicinamento, collaborazione e integrazione si è progressivamente rafforzato, facendo della cooperazione transfrontaliera una tematica centrale della politica locale di Gorizia. La progressiva abolizione dei controlli al confine ha inciso positivamente sulle abitudini dei goriziani di frequentare la Slovenia. Oltre a essere un incentivo a fruire delle opportunità offerte dal territorio confinario, la maggior frequentazione ha inciso sull’immagine positiva nei confronti degli sloveni, considerati lavoratori, onesti, tolleranti, cooperativi e simpatici. La progettualità avviata con i programmi transfrontalieri Interreg, i protocolli di collaborazione per favorire lo scambio di informazioni e il coordinamento di attività congiunte fra le due città, l’ingresso della Slovenia nell’Unione europea (2004) e nell’area Schengen (2007) e l’istituzione del Gruppo europeo di cooperazione territoriale (Gect Go, 2011) con l’obiettivo di rendere più competitivo e attrattivo il territorio transfrontaliero, hanno di fatto consolidato un processo ambizioso di interdipendenza che potrebbe portare alla «città comune».

Il riconoscimento del titolo di Capitale europea della cultura 2025 alle due città rappresenta un punto di svolta per rivitalizzare il territorio goriziano che, dopo la caduta del confine, ha vissuto uno svuotamento delle attività dei servizi, di personale militare e delle forze produttive, questo anche per la fine di molte agevolazioni economiche. In effetti, da parte italiana, si risente l’onda lunga di una situazione di declino caratterizzata da costi di sistema elevati, scarsa efficienza, innovazione dell’economia locale e nanismo imprenditoriale che richiede maggiori sforzi nella costruzione di un’economia di rete. Un altro aspetto che viene spesso evidenziato negli studi sociologici sulla realtà frontaliera è la mancanza di una lingua comune con cui dialogare. La diversità linguistica viene sentita come un ostacolo che rende difficile l’integrazione tra le persone, sebbene vi sia una maggior propensione all’apprendimento dell’italiano da parte degli sloveni rispetto allo sloveno da parte degli italiani.

Manca una lingua comune con la quale dialogare. E la diversità linguistica viene percepita come un ostacolo che rende difficile l’integrazione tra le persone

Un terzo aspetto è la percezione di un disinteresse diffuso tra la cittadinanza goriziana nel migliorare e incrementare la cooperazione con i cittadini che abitano al di là di un confine che divide ormai solo idealmente le due città. Questo disinteresse può derivare sia dalla mancanza di attenzione per la realtà frontaliera, preferendo continuare a vederla separata da quella goriziana, ma può essere anche letto come un problema non così rilevante, nel senso che la collaborazione avviene meccanicamente e, probabilmente, naturalmente.

Forse, ancora più importante, è la mancanza di un «sentire comune» delle due comunità, ossia la percezione di un territorio realmente transfrontaliero, dove l’altra città è anche un po’ casa propria. In questa direzione bisogna ancora lavorare per liberarsi dai confini mentali, dalle paure e dalle diffidenze, ancora presenti in alcuni strati della popolazione per motivi storici. Ciononostante, i goriziani hanno sviluppato un forte sentimento cosmopolita, considerando la città un punto d’incontro di economie e culture diverse che hanno consentito la convivenza di diverse etnie e creato una cultura della tolleranza. In particolare, la comunità slovena presente in città viene percepita come un importante elemento identitario e strategico nel creare forti e stabili legami con Nova Gorica.

L’evento GO! 2025 costituirà l’occasione per invertire il processo di indebolimento economico del territorio attraverso: un nuovo ecosistema culturale fondato su una conurbazione per una cittadinanza europea dal profilo internazionale e multilinguistico; lo sviluppo urbano, culturale transfrontaliero, di supporto a piani di sviluppo regionale e relativi bandi internazionali; lo sviluppo del turismo e di un unico marchio identificativo per le città; la valorizzazione dell’alta qualità della vita, del verde, innovando lo spirito imprenditoriale; l’implementazione di piattaforme per tutti i tipi di innovazione; l’unione dell’arte con la tecnologia, la cultura e l’economia; la promozione dell’imprenditorialità culturale con collegamenti europei e internazionali.

Cittadini, organizzazioni e istituzioni hanno sempre trovato un canale di dialogo – spesso per risolvere i problemi legati alle contingenze locali – che si è trasformato nel tempo in progetti di cooperazione di ampio respiro. La specificità storica delle due realtà, l’internazionalizzazione che si respira grazie alla presenza di sedi universitarie e di istituti di ricerca di eccellenza hanno fatto da contrappeso al senso di indifferenza presente in parte della popolazione, soprattutto italiana. Quello su cui bisogna ancora agire è il consolidamento di una cultura di confine stabile e diffusa che dia forma all’identità locale. Questa significa sentirsi qualche cosa di diverso e originale rispetto agli altri.

Molto probabilmente, realizzare la «città comune» sarà impossibile ma è comunque possibile fare dell’idea della «città comune» qualcosa di concreto, mettendo assieme alcuni aspetti che permettano di continuare a collaborare e creare una maggiore interdipendenza, come la pianificazione territoriale, l’attività associativa o la sanità congiunta. Anche il settore delle imprese culturali e creative può rappresentare un’occasione di sviluppo, favorito dalla presenza di un confine (e della sua tormentata storia) capace di generare ricchezza e originalità di idee nell’aggirarlo o re-inventarne le funzioni.

La cultura di confine, così come la cooperazione e l’integrazione, è un processo che deve essere alimentato dal basso, con l’accompagnamento e il sostegno degli operatori istituzionali. È sicuramente un processo lento e ci vorrà ancora del tempo ma saranno le nuove generazioni, più libere e senza remore, a godere dei buoni risultati seminati oggi.