Disponendo forse di informazioni riservate, il presidente emerito della Corte costituzionale Gustavo Zagrebelsky ci ha dato, non contrastato dall’ossequioso intervistatore del «Corriere della Sera» (5 giugno), un sacco di notizie democratiche e istituzionali. La prima, è che grazie al presidenzialismo o semi-presidenzialismo, una essenziale distinzione che però non andrebbe trascurata, i colonnelli sono diventati capi di Stato. Proprio come ha fatto il “colonnello” Putin tornato alla presidenza della Russia poco o punto democratica dopo una escursione da primo ministro. I dati storici, però, dicono inconfutabilmente che sono i generali a diventare capi di Stato nelle Repubbliche presidenziali e semipresidenziali, come Dwight Eisenhower (1952-1960) e Charles de Gaulle (1958-1969). Poco sembra importare al giurista che entrambi abbiano vinto e rivinto elezioni democratiche e competitive e che nessuno all’Occidente considera né competitive né democratiche le elezioni russe. Peccato che l’intervistato non riesca a spingersi più in là con la sua memoria. Diciamolo: il vizio del presidenzialismo è d’origine. Addirittura il primissimo presidente degli Stati Uniti d’America fu un generale: George Washington. Quindi, c’è qualcosa di infetto e di marcio proprio nel presidenzialismo. Vincono i generali.

Però, c’è di più. Infatti, anche nella Repubblica di Weimar (1919-1933), pur se la sua catalogazione come tale, troppo in anticipo sui tempi, non venne riconosciuta, si ebbe un generale: Paul von Hindenburg, democraticamente eletto e rieletto, anche con il voto dei socialdemocratici tedeschi già in preda alla sindrome di Stoccolma, vale a dire, per seguire l’analogia zagrebelskiana, innamoratisi del loro nemico. Anche la Costituzione di Weimar, scritta da alcuni dei più brillanti giuristi (non politologi) di quel tempo, fu un caso di semi-presidenzialismo. Storici, giuristi e politologi concordano che la tragica caduta di Weimar non fu dovuta all’elezione popolare diretta del presidente di quella Repubblica, ma “alle conseguenze economiche” (per citare quell’estremista di John Maynard Keynes) del trattato di pace imposto ai tedeschi e alla legge elettorale proporzionale. Sono tutti particolari marginali per gli imbalsamatori della Costituzione italiana pronti a sparare a zero su presidenzialismo e già che ci sono, quando si ricordano che non è la stessa formula istituzionale, anche sul semi-presidenzialismo.

La Costituzione italiana, dichiarano solennemente, “non è cosa vostra”, cioè di noi cittadini riformatori, quindi malvagi. La verità è che non ricordano neppure che i Costituenti stessi, molto saggiamente, scrissero un articolo apposito per regolamentare le eventuali, considerate possibili, riforme della Costituzione. Gli imbalsamatori del movimento “Libertà e Giustizia”, ma non unicamente loro, vorrebbero esibirla a un concorso di bellezza fra tutte le Costituzioni del mondo, notoriamente, essendo, la nostra, “la Costituzione più bella del mondo”. A questo beauty contest, verrà negata, “non è cosa”, la partecipazione agli inglesi che, poveretti, neanche ce l’hanno una Costituzione scritta. Qualcuno potrebbe nutrire il legittimo interrogativo se Basso, Calamandrei, Dossetti, Einaudi, Antonio Giolitti, Moro, Terracini, Togliatti abbiano effettivamente scritto la Costituzione con in mente l’obiettivo supremo della bellezza. Quanto alla democraticità e forse anche alla funzionalità del semi-presidenzialismo è forse venuta l’ora che, non a spese nostre, il professor Zagrebelsky e i suoi collaboratori – soprattutto quelli di elevatissima cultura giuridica che hanno dedicato tutta la loro vita agli studi – vadano a dire, non a Hollande che sta imparando a diventare un dittatore come i suoi predecessori, Mitterrand compreso (non dovrebbe l’Unione Europea intervenire contro gli Stati-membri che violano la democrazia?), ma a tutti i francesi che la Quinta Repubblica ha tolto loro la liberté, l’égalité e, parbleau, anche la fraternité. Che prendano esempio dal nostro vitalissimo parlamentarismo cum trasformismo. Voilà. Diventerebbero tutti più belli/e, n’est-ce-pas?