A sei anni dalla scomparsa, ripubblichiamo il ricordo di Giovanni Evangelisti uscito sul numero 6/2008 della rivista

Ha ripetuto sino alla fine che al Mulino nessuno era insostituibile, sapendo benissimo che in realtà una persona insostituibile c’era ed era proprio lui. Così, al termine di una settimana di lavoro come tante altre, Giovanni Evangelisti se n’è andato senza nessun preavviso lo scorso 4 ottobre. Chi lo ha conosciuto, e soprattutto chi ha conosciuto il privilegio, la gioia e la fatica di lavorare con lui, non riesce ancora a districare il giudizio culturale e professionale dalla commozione e dal rimpianto. In molti hanno tentato di dare una definizione del suo ruolo, di spiegarne la centralità in tutti i processi di elaborazione editoriale e di decisione aziendale. Ma in realtà non c’è una definizione davvero esauriente del significato che, per tutto il gruppo bolognese, ha avuto per quasi cinquant’anni il lavoro di un uomo come Evangelisti. In modo più semplice si potrebbe dire, e si direbbe bene, che è stato «il» Mulino. Da consigliere delegato, carica che assunse nel febbraio del 1965, ha saputo rispettare sempre, lasciando per questo quasi increduli alcuni interlocutori più esterni al Mulino, le linee culturali alla cui elaborazione lui stesso ha sempre dato un contributo fondamentale, o per meglio dire «essenziale», volendo adottare un aggettivo cui lui ricorreva spessissimo. Del Mulino ha infatti disegnato la struttura organizzativa, volendo mantenere il giusto e delicatissimo equilibrio fra il controllo economico dell’azienda e un alto e ben definito profilo culturale, e sapendo cogliere con grande anticipo alcune innovazioni che avrebbero poi reso l’editrice nella sua fase adulta capace di muoversi agevolmente anche in situazioni di mercato non facili. Alla sua ombra di direttore editoriale ha educato al lavoro dei libri molte persone che sempre, anche quando la loro vicenda professionale ha imboccato percorsi diversi, gli sono stati riconoscenti per aver loro insegnato la capacità di discernere tra le cose realmente importanti e quelle di second’ordine. Anche di queste, a essere onesti, si è sempre occupato in prima persona, tanto da far dire un giorno a un socio dell’Associazione che durante una riunione chiedeva se ci fosse in giro una penna perché ne era sprovvisto «bisogna che dica a Evangelisti di ordinarne un po’»; ottenendone così, di lì a pochi giorni, un’intera scatola. La sua dedizione al Mulino era totale; la sua presenza negli uffici di piazza dei Martiri prima, di via Santo Stefano e strada Maggiore poi era pressoché costante. Dal Mulino se ne è andato l’ultima volta un venerdì sera, quasi di soppiatto, come sempre ben oltre un normale orario d’ufficio, dopo un pomeriggio passato in Biblioteca a ricordare Tonino Santucci. Il legame con questa rivista è sempre stato fortissimo. Da giovane collaboratore (1960) a direttore (dal 1991 al 1994), ha sempre seguito da vicino e con grande partecipazione l’evolversi del «Mulino» nelle sue diverse fasi. La sua direzione, in anni importanti per la vita politica italiana, ha rappresentato un punto di svolta, donando alla rivista le caratteristiche che ha mantenuto sino oggi. Ai cambiamenti in cantiere per «il Mulino» che uscirà a partire dal 2009 ha sino all’ultimo dato tutta la sua attenzione, intervenendo criticamente ma senza mai escludere a priori nessun tipo di innovazione. Il suo ruolo è poi sempre stato cruciale in Associazione, dove riusciva a preoccuparsi con regolarità che le cose «girassero» a dovere; così come, in precedenza, all’Istituto Cattaneo, ove fece molto nella fase pionieristica delle grandi ricerche guidandone l’organizzazione (magari nascosto sotto i nomi dei direttori). La sua evidente ritrosia ad apparire nelle poche occasioni pubbliche che il lavoro gli avrebbe permesso lo aveva in realtà reso un personaggio corteggiato dai giornali, ai quali però si è concesso assai raramente, tanto che c’è da dubitare che i riconoscimenti che questi gli hanno portato alla sua morte gli avrebbero fatto piacere. Lontano anni luce dai salotti, era invece assiduo frequentatore delle sale di musica, la sua altra grande passione, lavoro a parte, insieme al buon cibo e al confronto intellettuale. A molti è spesso venuto il dubbio che la famosa battuta da lui attribuita ad altri, «il Mulino? facciamo soprattutto cene», fosse in realtà tutta sua. Di Evangelisti al Mulino rimarrà molto più che la memoria, tanto da rendere queste poche parole di ricordo un esercizio superfluo e senza dubbio insufficiente, dato che risulta impossibile riassumerne anche solo in parte l’inventiva, l’intelligenza e la caparbietà. Di certo, anche fra molti anni, rimarranno i modi di dire e le battute secche che hanno rappresentato il suo modo di dettare la linea. Di certo, se potessimo dirglielo ora, lo rassicureremmo tutti sul fatto che nessuno, qui, vorrà mai «giocare di rimessa».