Il successo nazionalista in Scozia. L’avanzata elettorale dei movimenti nazionalisti in Europa occidentale sembra oggi inarrestabile. Si tratta di partiti molto diversi tra loro dal punto di vista ideologico, che si battono, però, per un obiettivo comune: l’indipendenza. In Gran Bretagna, le elezioni del maggio 2015 hanno visto trionfare i nazionalisti dello Scottish National Party (SNP), che con il 50% dei consensi si sono aggiudicati 56 dei 59 seggi scozzesi a Westminster. La portata del risultato ha dell’incredibile, specie se si considera che appena otto mesi prima, nel settembre 2014, i nazionalisti erano stati sconfitti nel referendum sull’indipendenza. La perentoria affermazione dello SNP, che potrebbe superficialmente essere attribuita a un improvviso exploit populista, è in realtà frutto di un lungo lavoro di mobilitazione politica che ha portato i nazionalisti a imporsi anche nei tradizionali collegi operai che avevano assicurato, nel corso degli ultimi cinquant’anni, un solido retroterra elettorale al Partito laburista. In Scozia, vera e propria culla del sindacalismo britannico, lo SNP si presenta come un partito autenticamente socialdemocratico, che ha vinto perché impegnato nella difesa del Welfare State e dei principi cari alla sinistra: la redistribuzione del reddito, la difesa dell’istruzione pubblica e la tutela dei diritti civili.

La strada per il successo è stata lunga e accidentata. Quando il nazionalismo politico muoveva i primi passi, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, si trovò ad agire in un contesto fortemente industrializzato e poco sensibile al richiamo identitario. Lo SNP, fondato nel 1934, poteva, infatti, contare su appena poche decine di militanti, divisi tra una maggioranza conservatrice e autonomista e una minoranza repubblicana e indipendentista. Il partito rivendicava l’autonomia per la Scozia all’interno del Regno Unito, ma non l’indipendenza, mentre propugnava un modello vagamente interclassista in ambito economico. Per più di vent’anni lo SNP rimase così ai margini della vita politica, capace di raccogliere pochi consensi (non andò mai oltre il 3%) e solo nell’entroterra rurale.

Per una prima, credibile, inversione di tendenza bisognerà attendere gli anni Sessanta, con l’avvio del processo di riorganizzazione interna del partito che portò a una rapida decentralizzazione delle strutture organizzative. L’operazione diede i suoi frutti già nelle elezioni del 1970, quando i nazionalisti ottennero l’11,3% dei voti. Questo risultato spinse la nuova dirigenza a rilanciare l’indipendentismo, dando maggiore spazio alle questioni sociali. La base stessa dello SNP stava mutando. Alla piccola borghesia rurale si andava affiancando un numero crescente di lavoratori dell’industria, alle prese con i primi segnali di crisi economica e sempre più delusi dalla moderazione dei laburisti di fronte alla dismissione dell’industria mineraria e al declino della cantieristica navale.

Si apriva così un primo divario tra il proletariato scozzese e i propri rappresentanti tradizionali, che una generazione di giovani militanti dello SNP, di orientamento socialista, si propose di colmare, iniziando un processo di revisione ideologica del nazionalismo stesso che veniva riassunto dallo slogan: nazionalismo, socialismo e repubblicanesimo. L’attivismo del cosiddetto "79 Group" spinse gradualmente a sinistra lo SNP e finì per innescare accese dispute con la vecchia dirigenza, più moderata e autonomista. Nonostante fosse ufficialmente un partito socialdemocratico già dal 1974, lo SNP completò questo processo di ricollocazione soltanto negli anni Ottanta, con la campagna per l’uscita dalla Nato e quella in favore del Nicaragua sandinista.

Il vero punto di svolta, però, fu l’adozione di un programma economico più attento alle rivendicazioni del movimento operaio e al conseguimento di una maggiore equità sociale. In aperta opposizione alle politiche liberiste adottate dal governo conservatore di Margaret Thatcher, lo SNP si schierò al fianco dei sindacati durante il lungo sciopero dei minatori (1984-1985) e per la prima volta i nazionalisti si presentarono, da sinistra, come i rappresentanti degli interessi collettivi del proletariato scozzese.

Il nuovo approccio si dimostrò vincente. Negli anni successivi, attraverso una serie di proposte innovative sul Welfare e sull’indipendenza all’interno dell’Unione europea, lo SNP ha rapidamente incrementato consensi e iscritti. Dopo aver beneficiato del processo di devolution avviato dal New Labour di Tony Blair, lo SNP è riuscito a sopravanzare i laburisti sul piano della rappresentanza di classe, trasformandosi nel partito di maggioranza in Scozia. Allo stesso tempo, si è dimostrato capace di sfidare il potere di Londra, ormai saldamente nelle mani del Partito conservatore a maggioranza inglese. Questa, dunque, la ricetta del successo nazionalista: un modello inclusivo e progressista che, in un momento di grave crisi economica, punta più sui vantaggi di una futura Scozia indipendente e solidale che non sul richiamo etnico e razzista. E di questi tempi non è cosa da poco.