Siamo passati dal tempo in cui un ministro della Repubblica poteva affermare tranquillamente che «con mafia e camorra bisogna convivere e i problemi di criminalità ognuno li risolva come vuole» (2001), attraverso quelli in cui ci si convinceva poco alla volta che la mafia fosse ormai agli sgoccioli (2006, dopo la cattura del boss Bernardo Provenzano, detto Binnu u tratturi), a quelli odierni, in cui di mafia in pratica si parla poco o niente. Ci volevano le dichiarazioni dell’ex ministro di Grazia e giustizia Claudio Martelli a proposito dei presunti rapporti tra Cosa nostra e pezzi di Stato perché nell’Italia oscurata dal berlusconismo e dai suoi effetti se ne tornasse a parlare.

Che di mafia non ci si debba più occupare e che ormai sia una storia vecchia dev’essere convinto anche Cristiano Aldegani, sindaco leghista di Ponteranica, paese di settemila anime in provincia di Bergamo. Lo aveva promesso sin dalla campagna elettorale e, uomo tutto d’un pezzo qual è, ha mantenuto la parola data. Così, a seguito di una sua iniziativa, la targa della biblioteca comunale che ricordava Peppino Impastato, ammazzato di mafia nel 1978, è stata tolta. Il sindaco e i suoi consiglieri devono aver pensato che a trent’anni di distanza da quel fatto di sangue, perpetrato a Cinisi (Palermo), a millecento chilometri di distanza da Ponteranica, fosse giunto il tempo di cambiare marcia: perché intitolare una biblioteca a un tenace e coraggioso giovane giornalista, per di più comunista, che, dai e dai, alla fine era riuscito a farsi ammazzare? A che cosa può servire una targa del genere, in val Brembana? A niente. E a niente, evidentemente, devono essere serviti libri, film, poesie, un insieme di documenti e di testimonianze volte a far sì che di Peppino Impastato l’Italia non si dimenticasse. I cento passi (quelli necessari per colmare la distanza tra la casa degli Impastato e quella del boss mafioso Tano Badalamenti), probabilmente, non è il film preferito del primo cittadino di Ponteranica. (E invece al sindaco e a tutti coloro che hanno appoggiato la sua decisione o non vi si sono opposti con sufficiente fermezza, ne consigliamo la visione.)
Ma a Ponteranica, per fortuna, in molti si sono fatti sentire, e il 28 settembre sono scesi in piazza a manifestare. Erano diverse migliaia, e in un paese di quelle dimensioni non sono passati inosservati. Dall’altra parte della barricata rimane invece chi proprio non ne vuole sapere di Impastato e della sua storia di mafia: così, la sera prima del giorno in cui si sarebbe dovuto intitolare un ulivo della pace messo a dimora lo scorso anno in memoria del giornalista che venne assassinato il 9 maggio 1978, la pianta è stata tagliata di netto da ignoti. Al suo posto una sagoma di legno, a forma di pino, con un cartello che recita “Mé ché öle ü pagher” (traducibile all’incirca con “Io qui voglio un abete”).

Bisogna forse continuare a credere che la battaglia per il dialetto sia un’ulteriore pagliacciata leghista?