Il 24 marzo del 1958, un ventitreenne di nome Elvis Aaron Presley cominciava il servizio militare. Sarebbe rimasto due anni lontano dalle scene, mettendo a serio rischio la propria carriera. Settant’anni dopo, il ministro della Difesa coreano, Lee Jong-sup, ha sulla scrivania un dossier scottante. In Corea del Sud, la leva resta obbligatoria, e soltanto in pochi, per meriti sportivi e artistici, riescono a posticiparla fino al trentesimo compleanno. Sfortunatamente per Jong-sup, il membro più “anziano” dei Bts, gli idoli del K-pop – “una delle più popolari band di sempre” per il “New Yorker” –, compirà trent’anni proprio questo dicembre. E allora: esentare o meno la band dalla naja? Farne un esempio per una generazione di giovani cittadini, come fu per Elvis, rinunciando a un significativo ritorno di immagine (ed economico)?

Dilemmi del genere, se non più seri, sono la norma ancora oggi, e non solo in Corea del Sud: sessanta nazioni mantengono infatti una qualche forma di coscrizione, e questo numero sembra destinato a crescere. La ragione? Nella maggior parte dei casi, geopolitica. Paesi come la Finlandia o la Grecia, per la loro prossimità a, rispettivamente, Russia e Turchia, obbligano da tempo i propri giovani a prestare servizio nell’esercito. L’espansionismo russo degli ultimi anni, cominciato con l’annessione della Crimea nel 2014 e culminato con l’invasione dell’Ucraina, ha spinto Lituania e Svezia a reintrodurre la leva obbligatoria non molto tempo dopo la sua abolizione. Per la stessa ragione, l’Olanda potrebbe seguire il medesimo iter.

Soltanto fino a pochi anni fa, tuttavia, la leva militare rappresentava, agli occhi dell’opinione pubblica europea, una reliquia della Guerra fredda. Con la fine della stessa e il cambiamento nelle strategie militari seguito all’avvento del terrorismo internazionale, a partire degli anni Novanta gran parte degli Stati aveva progressivamente abolito la coscrizione. In Italia fu il secondo governo Berlusconi ad anticipare la sospensione delle chiamate, già programmata per il 2007 dal ministro della Difesa del governo Amato, Sergio Mattarella, al 31 dicembre del 2004. Ironicamente, nella scorsa campagna elettorale, lo stesso Berlusconi ha chiesto ai giovani (d’oggi) di votare Forza Italia per aver messo fine alla naja (vent’anni fa).

Esponendo il giovane (uomo) a una full immersion militare, in un momento della vita particolarmente sensibile, lo Stato poteva aspirare legittimamente a rinsaldare il voto di fedeltà alla nazione

Il mantenimento di un costoso esercito di massa aveva a lungo rappresentato per le nazioni europee una doppia forma di tutela: contro lo spauracchio dell’armata rossa, sì, ma anche contro la progressiva disaffezione dei cittadini nei confronti dello Stato. Esponendo il giovane (uomo) a una full immersion militare, in un momento della vita particolarmente sensibile, lo Stato poteva aspirare legittimamente a rinsaldare il voto di fedeltà alla nazione, ai suoi valori e alle sue istituzioni. Nobilitato dall'inquadramento nella coercizione, ed esposto all’incontro con giovani di diversa provenienza geografica ed estrazione sociale, il cittadino avrebbe acquisito la consapevolezza di essere parte integrante dello Stato.

Il nostro lavoro, pubblicato sull’“American Journal of Political Science”, suggerisce che né il cameratismo né un improbabile nazionalismo d’antan possano riavvicinare il cittadino alle istituzioni. Nello studio, incrociamo informazioni a livello individuale sulle attitudini nei confronti delle istituzioni, provenienti dallo European Social Survey, con dati relativi all’abolizione della leva in quindici Paesi europei, inclusa l’Italia. La nostra analisi dimostra come gli uomini abbastanza giovani da evitare la naja abbiano, ancora oggi, una maggiore fiducia nei confronti delle istituzioni legislative e giudiziarie, dei partiti e dei politici, rispetto a coloro che hanno prestato servizio appena prima della sospensione della leva. Come ci saremmo aspettati, non riscontriamo alcun effetto tra le donne delle stesse generazioni, mai soggette al servizio militare. Inoltre, l'effetto stimato non è prodotto da un senso di “gratitudine” nei confronti del governo che ha abolito la naja tra coloro che sono stati esentati.

I risultati mostrano inoltre come quella dei coscritti sia una comunità compatta, caratterizzata da una maggiore diffidenza nei confronti delle istituzioni civili, confermando l’esistenza di quello che la letteratura ha definito come “civil-military gap”. Da un lato, la giovane recluta, immersa nelle dinamiche militari, può acquisire un senso d’identità nazionale e patriottismo; dall’altro, però, può introiettare lo scetticismo delle forze armate nei confronti della società civile, e la loro naturale resistenza al monitoraggio degli organismi democratici. In particolare, il processo decisionale militare, agile e verticale, rischia di apparire più appetibile di quello democratico, fondato sul compromesso e sulla legittimazione dal basso, e, necessariamente, più convoluto.

Il processo decisionale militare, agile e verticale, rischia di apparire più appetibile di quello democratico, fondato sul compromesso e sulla legittimazione dal basso

Infine, riscontriamo un impatto maggiore della sospensione della leva tra gli intervistati provenienti dai Paesi che furono parte del Patto di Varsavia. La corruzione pervasiva all’interno delle forze armate, e le notevoli ingerenze di quest’ultime nella vita democratica, potrebbero aver amplificato il civil-military gap tra i coscritti in questi Stati. Inoltre, nell’Europa dell’Est, l’abolizione della leva è stata parte di un più ampio percorso di democratizzazione e avvicinamento al blocco occidentale, a seguito della caduta del muro di Berlino. Non sorprende, pertanto, rinvenire un effetto maggiore sulla fiducia nelle istituzioni in quei contesti dove la sospensione della leva è stata parte di un più ampio ripensamento del sistema di check and balance.

La nostra ricerca fornisce una risposta chiara a coloro che difendono il ritorno della leva obbligatoria per motivi non geopolitici, nell’ottica di (ri-)creare una “scuola della nazione”. Emmanuel Macron, nel suo primo mandato, ha lanciato il Service National Universel, civile e militare, per rafforzare la coesione sociale e il patriottismo. In Germania, il ministro della Difesa del governo Scholz ha definito la sospensione della leva nel 2011 come “un errore”. Nel nostro Paese Matteo Salvini da anni auspica il ritorno del servizio militare, “per contrastare le baby gang”, sì, ma soprattutto “per ricordare ai nostri ragazzi che, oltre ai diritti, esistono anche i doveri”. Anche Giuseppe Conte ha fatto della sua contrarietà alla proposta salviniana (“prevede maggiore confidenza con le armi”) un tema della campagna elettorale del 2022.

Al di là delle motivazioni elettorali, la nostra analisi solleva dei dubbi sull’efficacia della leva come strumento per avvicinare il cittadino alle istituzioni democratiche: sono altre, e ben più complesse, le strade da percorrere per sviluppare un senso civico e avvicinare i giovani alle istituzioni, e, più in generale, per rinsaldare una società mai così atomizzata.