Dall’8 agosto al 17 settembre: i «quaranta giorni», potremmo dire, che sconvolsero non solo la politica italiana, ma anche il Partito democratico. Ancora alla fine di luglio, dopo le elezioni europee e con il governo gialloverde saldamente in campo, si riuniva l’Assemblea nazionale del Pd, la prima vera opportunità per il nuovo segretario Nicola Zingaretti di illustrare il suo piano di lavoro per il rilancio del partito. In quell’occasione il segretario era molto netto nel descrivere la condizione critica in cui versava il Pd: «O facciamo una rivoluzione o non ce la faremo»; «La riforma del partito è necessaria perché lo strumento che abbiamo non è più utile a svolgere la sua funzione. Dobbiamo cambiare tutto». E a finire sotto accusa era soprattutto il regime correntizio interno: discutere «è un gran bene», diceva ancora il segretario, ma troppo spesso nel partito «c’è un gruppo dirigente nazionale attorno al leader ma poi c’è un regime correntizio che appesantisce tutto. Ci sono realtà territoriali feudalizzate che si collocano da una parte o dall’altra, con un leader o un altro, a prescindere dalle idee».

Ora, non era la prima volta che si ascoltavano affermazioni di questo tenore, ma gli accenti del segretario in questa occasione erano sembrati più sinceri; soprattutto, al di là delle parole, vi erano state anche alcune prime scelte conseguenti: una commissione, presieduta dall’ex segretario Maurizio Martina, incaricata di predisporre una proposta di riforma dello Statuto; e il mandato, affidato a Gianni Cuperlo, di istituire una «fondazione» unitaria di cultura politica del partito (una scelta, ricordiamo, che era stata consapevolmente scartata, quando il Pd nacque). E per l’autunno era stata annunciata una «Costituente delle idee» a cui affidare il compito di definire – o, meglio, ridefinire radicalmente – la proposta programmatica del partito.

Si poteva aprire, dunque, un’interessante fase di riflessione politica; ma la crisi di governo, la soluzione che ha avuto e poi – appena il tempo di far giurare i nuovi ministri – l’annuncio dell’addio di Matteo Renzi hanno completamente stravolto il paesaggio politico in cui ci si aggirava ancora poche settimane prima. Il tempo dirà quali sono gli effettivi intenti, e poi le conseguenze, dell’iniziativa renziana: qui vorremmo limitarci a illustrare alcune chiavi interpretative della vicenda del Pd, per quanto possibile sottratte ai fatti di questa convulsa estate italiana.

 

[L'articolo completo pubblicato sul "Mulino" n. 5/19, pp. 804-812, è acquistabile qui]