Mentre le linee aeree eliminano progressivamente la prima classe e molte aziende incoraggiano i propri dirigenti a volare low cost, le linee ferroviarie ad alta velocità italiane – uniche in Europa e probabilmente al mondo -  raddoppiano invece il numero delle classi, che passeranno da due a quattro. Si  introduce così  una nuova forma di consumo vistoso e di distinzione di classe (sociale) che fa impallidire quella della mia infanzia. Quando c’era ancora la terza classe, fatta di panche di legno durissimo e la distanza sociale tra questa e la prima classe sembrava abissale. Oggi più di allora il treno sembra diventato uno degli elementi di stratificazione sociale, con le sue distinzioni – innanzitutto nella qualità del servizio, nella decenza (o indecenza) delle carrozze e nel numero di toilette effettivamente funzionanti – tra treni di pendolari e treni intercity e tra questi e i treni ad alta velocità ed ora anche all’interno di questi. Il tutto spesso a costo di un peggioramento del servizio per “gli strati bassi” e senza visibile miglioramento per quelli “alti”, salvo qualche coccola aziendale in più. Perché se poi il treno ritarda, come avviene di frequente, anche le classi (ferroviarie) alte perdono coincidenze e riunioni.
Non si tratta di fare del moralismo. Anche se una maggiore attenzione per i disagi e le vere e proprie indegnità cui sono sistematicamente esposti i viaggiatori nei treni comuni, non ad alta velocità, in un paese che fa parte del “primo mondo” non stonerebbe e dovrebbe anzi essere al primo posto in un paese civile. E’ proprio questo scarto che colpisce e induce a riflettere sulla immagine dell’Italia che anche questo, pur marginale, sviluppo propone e rafforza. Una Italia in cui si pensa che i pochi privilegiati per censo e rimborso spese possano permettersi, anche per iniziativa pubblica, tutti i lussi e togliersi tutte le voglie. Dove la classe dirigente è identificata come tale solo dai lussi che può permettersi ed esibire senza discrezione. Dove è la ricchezza, comunque conquistata, che dà riconoscimento e legittimazione.
Un altro segnale nella stessa direzione viene, sia pure indirettamente, dalla iniziativa della Luiss di istituire “corsi per la classe dirigente”. Iniziativa meritoria in sè e che forse andrebbe rivolta anche a molti che di questa classe fanno già parte. Ma gli studenti “rigorosamente reclutati” devono avere una fondamentale caratteristica di partenza: essere (o avere genitori) sufficientemente ricchi per sostenere il non indifferente costo del corso. Anche in questo caso, l’iniziativa italiana si discosta da quelle straniere cui pure dice di ispirarsi. Chi avesse davvero a cuore la formazione di una classe dirigente di qualità dovrebbe piuttosto investire in un reclutamento ampio, nella individuazione delle potenzialità presenti in chi non ne fa ancora parte per nascita. Quindi dovrebbe investire in borse di studio che consentano a chi merita, a chi è promettente, di essere selezionato e partecipare (ed anche vivere a Roma durante la frequenza). Altrimenti, come avviene sistematicamente in Italia,  si tratterà semplicemente di una iniziativa di auto-riproduzione e auto-conferma. Anche se, a differenza che nella prima classe dei treni ad alta velocità, ai fortunati non verrà offerto lo spumantino, ma il privilegio di qualche buona lezione e la patente di candidato alla “classe dirigente”.