Sono tre i dati che emergono dalla vittoria di Lula alle elezioni presidenziali brasiliane del 30 ottobre. Il primo è che dopo il Messico e l'Argentina, e soprattutto dopo il Cile e la Colombia, anche in Brasile a uscire battute sono state le destre. Ci troviamo dunque di fronte a una tendenza che riguarda l'intero continente latinoamericano. Il secondo dato concerne la vera sorpresa, che non è stata la vittoria di Lula, ma la tenuta di Bolsonaro. Il quale – ed è questo il terzo dato – rifiutandosi di accettare subito esplicitamente la sconfitta ha creato una situazione di forte tensione nel Paese, mostrando, d’altro canto, di condividere la concezione del suo principale mentore, Donald Trump, ovvero che la democrazia va bene solo quando si vince. Ma questo si dirà più avanti.

Dal ritorno della democrazia in Brasile, dopo l’oltre ventennio di dittatura militare (1964-1985), non era mai successo che un Presidente in carica non venisse confermato. Così come non era mai accaduto che un Presidente ottenesse un terzo mandato. 
 
Lo scrutinio nel pomeriggio di domenica 30 ottobre è stato al cardiopalma. I primi numeri sono cominciati ad affluire verso le 17.30, quando i voti scrutinati erano ancora meno del 10% e davano in vantaggio Bolsonaro di quasi cinque punti. Da quel momento fino al sorpasso delle 18.44 l'ascesa di Lula, decimale dopo decimale, è stata costante senza battute d’arresto ed è andata di pari passo con l'altrettanto inesorabile arretramento di Bolsonaro.
 
Con un'affluenza al voto molto alta (79,5%), superiore dello 0,7% a quella del primo turno, Lula ha vinto di una incollatura. Ha ottenuto il 50,9% dei consensi, a fronte del 49,1% del rivale. Minimo dunque lo scarto, ma corrispondente a 2,1 milioni di voti. Che non sono pochi.  
Lula ha vinto di una incollatura. Ha ottenuto il 50,9% dei consensi, a fronte del 49,1% del rivale. Minimo dunque lo scarto, ma corrispondente a 2,1 milioni di voti. Che non sono pochi

Al successo di Lula ha senz'altro contribuito la scelta come candidato alla vicepresidenza di Gerardo Alckmin, politico di lungo corso, rivale di Lula alle presidenziali del 2006. Di lui lo storico Fabio Gentile, docente all'Università federale di Cearà (Fortaleza) nel Nord Est del Brasile, dice: "L'alleanza con Alckmin, esponente di primo piano della formazione politica storicamente rivale – il Partito socialdemocratico brasiliano (Psdb) dell'ex Presidente Fernando Henrique Cardoso – ha giocato un ruolo strategico fondamentale nella vittoria di Lula. Il Partito dei lavoratori (Pt) di Lula e il Psdb, che per anni si erano alternati al potere stabilizzando la giovane democrazia brasiliana nata alla metà degli anni Ottanta dopo la fine della dittatura militare, hanno messo da parte l'antica rivalità per allearsi contro il comune avversario, Bolsonaro (e il "bolsonarismo"), da sconfiggere per normalizzare la vita politica e ripristinare l'alternanza al potere tra Pt e Psdb. Alckmin, ex governatore dello Stato di San Paolo, ha permesso il riavvicinamento tra Lula e i settori imprenditoriali e finanziari di San Paolo e la media e alta borghesia moderata. Non è un caso che il Pt, nonostante la sconfitta nello Stato di San Paolo, abbia fatto registrare il massimo storico di voti".

Come per il primo turno, anche in occasione del secondo i sondaggi sulle intenzioni di voto si sono rivelati fallaci. Per il voto del 2 ottobre avevano previsto un vantaggio a favore di Lula di molto superiore ai cinque punti poi usciti dalle urne. Alla vigilia del ballottaggio, sabato 29 ottobre, erano stati resi noti gli ultimi otto sondaggi. In tutti Lula era dato vincitore con uno scarto che oscillava tra gli 8 e lo 0,8 punti. La media tra gli otto sondaggi dava un vantaggio di 4,4 punti a favore di Lula. Ma anche in questo caso la realtà è stata diversa dalle previsioni. Nel secondo e ultimo confronto elettorale alla Tv Globo della sera prima, poi, Lula era sembrato prevalere, sia nell'opinione di chi scrive, sia stando alle impressioni dei commentatori meno schierati. Un confronto molto aspro nei toni e nelle parole, con Lula ad accusare l'avversario di essere il più grande bugiardo della storia del Brasile e Bolsonaro a dare del bandito a Lula. Salario minimo, povertà, rispetto della Costituzione, problemi climatici e ambientali i temi sul tappeto, che sul tappeto erano rimasti non riuscendo mai la discussione a decollare.
 
La sera di domenica, conosciuto l’esito del voto e mentre il Tribunale superiore elettorale certificava la regolarità del voto, Lula ha tenuto un discorso ai suoi sostenitori nell’Avenida paulista a San Paolo. Un discorso di riconciliazione, di rifiuto della divisione del Paese in due, con al centro la questione della povertà estrema che riguarda 33 milioni di brasiliani, poco meno di uno su sette. Un discorso commosso e di grande respiro, a cui è corrisposto il persistente silenzio di Bolsonaro.
Lula ha tenuto un discorso ai suoi sostenitori nell’Avenida paulista a San Paolo. Un discorso di riconciliazione, di rifiuto della divisione del Paese in due, con al centro la questione della povertà estrema che riguarda 33 milioni di brasiliani
 
Al di là delle parole pronunciate da Lula, il Paese è davvero diviso a metà, anche geograficamente. Divisione che appare consolidarsi nel tempo tra un Nord Est solidamente ancorato a posizioni progressiste e di sinistra e un Centro Sud dove sono le varie destre a mietere la maggior messe di consensi. 
 
A Lula toccherà il compito di unire un Paese profondamente diviso, dovendo peraltro fare i conti con un Parlamento nel quale in nessuno dei due rami il Pt e i sui alleati hanno la maggioranza, dove siedono rappresentanti di oltre venti partiti a riprova della grande frantumazione della rappresentanza. La sua biografia impastata di tenacia e di politica, nel senso alto della mediazione, suggerisce che ne sarà all'altezza.
 
Certo, non tutto dipende da lui. Durante la campagna elettorale si sono registrati episodi preoccupanti. La deputata federale politicamente vicina a Bolsonaro, Clara Zambelli, alla vigilia del voto ha estratto la pistola e l'ha puntata contro un sostenitore di Lula che probabilmente le aveva rivolto parole ingiuriose. Una settimana prima l'ex deputato di un partito alleato di Bolsonaro, Roberto Jefferson, condannato a sette anni per corruzione, aveva accolto la polizia che era andata ad arrestarlo dopo la revoca dei domiciliari lanciando una granata. La proliferazione di armi, enormemente favorita da Bolsonaro durante il suo mandato come soluzione ai problemi della sicurezza, costituisce un dato molto preoccupante. Durante la giornata del voto in alcune località del Nord Est la polizia stradale ha cercato di ostacolare l'accesso ai seggi di gruppi di elettori di Lula. A quanto detto si aggiunga che l'iniziale silenzio di Bolsonaro ha provocato forti tensioni. In 18 Stati colonne di camion hanno bloccato il traffico. In alcuni casi anche l'accesso agli aeroporti. Sono camionisti sostenitori di Bolsonaro che protestano contro il risultato elettorale.
 
Solo a questo punto, nel pomeriggio del 1° novembre dal palazzo presidenziale di Brasilia, tirato per i capelli, il Presidente uscente ha rotto il silenzio. In un intervento di tre minuti ha ringraziato i propri elettori, inveito contro la sinistra, dichiarato la propria osservanza della Costituzione e rilanciato il proprio esauriente programma di "Dio, Patria, Famiglia e Libertà". Non una parola sulla sconfitta e sulle agitazioni dei camionisti. A un suo ministro, intervenuto immediatamente dopo, è spettato rassicurare i brasiliani all’avvio della transizione verso la nuova presidenza.
 
Per chiudere con una nota di ottimismo, riporto quanto mi dice un altro storico, Luis Rosenfield, docente presso la Pontificia Università Cattolica di Rio Grande do Sul (Porto Alegre). A suo avviso le elezioni brasiliane avrebbero messo in luce in primo luogo "la grande capacità delle autorità elettorali di organizzare un processo elettorale agile, efficiente e giusto in un Paese di dimensioni continentali". In secondo luogo confermato "la resilienza delle istituzioni brasiliane, che hanno resistito ai numerosi stress test condotti in modo orchestrato dal bolsonarismo negli ultimi quattro anni". Alla luce di questa interpretazione la protesta dei camionisti non sarebbe che un colpo di coda. Speriamo. La delicata fase di transizione che si è aperta ora in Brasile si concluderà il 1° gennaio 2023 con il giuramento del nuovo Presidente. Il Pt ne ha assegnata la gestione al vice Presidente Alckmin, contando sulla sua saggezza. C'è da augurarsi che altri, tutti, rispondano con altrettanta saggezza.