Questioni di integrazione. Il tema accoglienza e integrazione degli immigrati (fuoriusciti, profughi, perseguitati o altro) è sempre all’ordine del giorno in Germania, anche se rispetto al biennio 2015-2016, i numeri degli arrivi sono calati sensibilmente. In particolare, sta suscitando accese discussioni la proposta del neo ministro degli Interni, il cristiano-sociale bavarese Horst Seehofer, di rendere più difficili i ricongiungimenti famigliari. Un chiaro segno di resistenza ai processi di integrazione.

Il mercato del lavoro continua ad avere un andamento favorevole. Più che il lavoro, il problema sono piuttosto gli alloggi. Soprattutto in una città, come Berlino, dove la popolazione cresce non solo per l’immigrazione ma, da quest’anno, anche per il saldo positivo tra nuovi nati e decessi. Il mercato delle abitazioni sta lievitando, i prezzi del nuovo salgono e salgono soprattutto anche i canoni degli affitti. In certi quartieri (ad esempio a Neukölln) la quota di popolazione a rischio di povertà raggiunge il 25% e una della cause è il divario tra crescita degli affitti e stagnazione di salari e pensioni.

L’amministrazione cittadina già nel 2016 aveva deliberato la costruzione di un primo lotto di 45 edifici modulari per profughi (i cosiddetti «Muf, Modulare Unterkünfte für Flüchtlinge), suscitando non pochi malumori nei quartieri dove erano state individuate le aree edificabili. Quest’anno è stata aggiunta un’ulteriore lista di altre 25 nuove localizzazioni, ognuna delle quali destinata ad ospitare da 400 a 500 profughi, in maggioranza siriani, irakeni, nigeriani, afgani, iraniani, somali, eritrei.

Anche questa volta i sindaci dei quartieri (Berirkbürgermeister) hanno sollevato perplessità. Si badi che si tratta in quasi tutti i casi di esponenti della stessa maggioranza politica che regge la città, cioè socialdemocratici, Verdi e Linke. Nessuno vuol passare per oppositore della politica di accoglienza e integrazione, ma alcuni volevano destinare le aree scelte ad altri servizi per la comunità (tipo asili e scuole), altri suggeriscono localizzazioni diverse, altri ancora lamentano la carenza di servizi per una popolazione in crescita (presidi sanitari, scuole, spazi ricreativi e sportivi per i giovani), altri paventano la creazione di ghetti che finiscano per essere isolati dalla vita di quartiere. Nel caso di Lichterfelde, un quartiere borghese, le nuove costruzioni richiederebbero l’abbattimento di molti alberi e la popolazione si è mobilitata con una raccolta di firme contro questa eventualità.

I quartieri si sentono tagliati fuori da decisioni che sentono come piovute dall’alto, senza che si sia passati da un percorso di ascolto partecipazione che li coinvolga. Non è semplicemente un problema di comunicazione. Su molte questioni, ma soprattutto in tema di integrazione degli immigrati, bisogna che i processi siano gestiti con decisione ma anche prudenza, con accortezza ma anche con capacità di ascolto. Gli immigrati devono essere disposti a integrarsi, senza perdere la loro cultura, ma le comunità devono essere messe nelle condizioni di procedere senza timori nell’opera di integrazione. Il lavoro con e sulle comunità è indispensabile per evitare poi le reazioni di rigetto.

Insomma, le difficoltà ci sono anche laddove sembrano esistere le condizioni economiche, sociali e politiche più favorevoli per affrontarle. L’immigrazione è una grande sfida. Per vincerla è necessaria una altrettanto grande mobilitazione di tutti, dalle autorità pubbliche, al volontariato, alle micro-solidarietà dei rapporti di vicinato. La società civile è un fattore decisivo, ma stiamo attenti, può mobilitarsi anche intorno a parole d’ordine e a rivendicazioni tendenzialmente xenofobe.

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