Il mondo secondo Angela. E Angela fu. Le urne tedesche non hanno prodotto alcuna sorpresa da ammannire ai media internazionali. Tutt’al più un’alzata di ciglia se l’è guadagnata la proporzione della vittoria, a un’inezia da quella maggioranza assoluta (315) che arrise soltanto al padre fondatore Adenauer nel 1957, una Guerra Fredda fa.

Angela, ben più che il suo partito: raramente una vittoria ha avuto fattezze tanto riconoscibili. Ha affrontato la sonnolenta campagna elettorale con un piglio da manager di successo, col caratteristico «rombo a mani giunte» che suggerisce capacità e competenza. Alla vigilia ha ammonito: votate Cdu, che sola vi garantisce Merkel Cancelliera. Il partito come mezzo; lei, il fine. Meno comprensibili appaiono le accuse ai tedeschi per non aver scelto progetti lungimiranti per il futuro. Chi tra le forze in campo ne ha proposti? Non certo la Spd, che ha supportato in parlamento tutte le principali iniziative della Cancelliera. L’inerzia ha dunque premiato il pragmatismo che ha chiuso fuori dalle frontiere la crisi continentale, riducendo all’indispensabile il coinvolgimento nelle altrui sfortune.

L’hanno accusata di praticare il mestiere di arrangiarsi. La campagna di Merkel avrebbe sublimato la “smobilitazione asimmetrica”, cervellotica definizione che equivale a pronunciarsi il meno possibile su questioni controverse, e a far proprie molte posizioni altrui. Un’occupazione dello scenario politico che ha relegato alla marginalità anche il ministro degli Esteri Westerwelle, assurto alla cronaca soprattutto per le numerose gaffe, e il suo partito liberale, rimasto fuori dal parlamento nazionale per la prima volta. Se Merkel sia la leader “post-ideologica” del XXI secolo, o piuttosto il frutto del «fallimento collettivo» dell’elite politica denunciato da Habermas, è presto per dire. Interessa piuttosto comprendere come la sua azione influenzerà la proiezione internazionale della Germania per i prossimi anni.

In Europa, la Cancelliera ha marcato un indirizzo che sta facendo discepoli: le istituzioni di Bruxelles sono inadatte a prevenire nuove «tragedie greche»; meglio affidarsi a un più stretto coordinamento e controllo reciproco tra gli esecutivi nazionali, nella loro piena indipendenza. Un progetto per il futuro? Piuttosto l’ennesimo ripiegamento dovuto alla scarsa volontà di lavorare a un aggiornamento dell’architettura comunitaria. Quanto alle ricette contingenti, la fedeltà all’Ue e alla moneta unica si coniuga con la rigidità delle ricette tedesche: la crisi è figlia del debito pubblico e dalla sua riduzione a ogni costo dipende la ripresa dei partner. A poco è valsa l’evidenza che tale regola d’oro tarda a luccicare: pressoché ovunque ai tagli crescenti è corrisposto un crollo del Pil, che allontana ulteriormente l’obiettivo ed esige enormi tributi sociali . Una politica lungimirante? I dati di inizio 2013 mostrano che gli affari tedeschi col mondo extraeuropeo faticano a compensare le ingenti perdite verso gli impoveriti corregionali. Tralasciando il rischio che un’Ue sottoposta a simili sollecitazioni voli in pezzi a ogni momento, non è forse un’immagine di perenne debolezza europea che una siffatta leadership “negativa” tedesca trasmette al resto del mondo?

Si guardi ai rapporti con la Cina: un anno fa Merkel tornava dall’ennesima visita a Pechino brandendo contratti per cinque miliardi di euro, ma anche gravata da critiche per le mancate rassicurazioni sul rispetto delle regole in materia di trasparenza e proprietà intellettuale e di accesso al mercato cinese, e per aver glissato sul rispetto dei diritti umani. Appare ormai chiaro che le avance di Pechino per una partnership strategica con l’Europa segnalano il desiderio di rafforzare la struttura multipolare del sistema internazionale, riducendo in termini relativi la preponderanza statunitense. Una sfida che necessiterebbe urgentemente di un contributo politico e intellettuale collettivo del Vecchio Continente, cui né il pragmatismo della Cancelliera né l’unilateralità del suo approccio sembrano consoni.

Nel frattempo, a ridosso delle elezioni la Cancelliera ha ammonito Russia e ancora Cina per la loro opposizione a una risoluzione congiunta delle Nazioni Unite in favore di un intervento in Siria. La Germania si allinea dunque al fronte europeo franco-britannico? Cautela: Berlino prenderà parte soltanto a iniziative espressamente autorizzate da Onu, Nato, o Ue (e che differenze questo implicherebbe!). Parole definitive? La Cancelliera si è affrettata ad aggiungere sabato che al momento una partecipazione della Bundeswehr «non è in questione». Ravvedimento pacifista? Piuttosto consultazione tempestiva dei sondaggi di venerdì scorso, che davano sei elettori su dieci fermamente contrari a qualunque offensiva; linea sposata poche ore prima dal rivale socialdemocratico Steinbrück.

Per il momento il pragmatismo ha garantito una sfavillante vittoria elettorale. Ma che l’improvvisazione e la scarsa assunzione di responsabilità possano contribuire al risollevamento dell’Europa e al futuro benessere tedesco, è lecito dubitare. La Germania sembra piuttosto ricadere in un vecchio stereotipo che la voleva «gigante economico e nano politico». Una Guerra Fredda fa, appunto.