Il 9 dicembre scorso l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (comunemente detta «Antitrust») ha imposto ad Amazon una multa di oltre 1 miliardo di euro (1 miliardo e 128 milioni). Più precisamente, per violazione dell’art. 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea ha sanzionato le società Amazon Europe Core, Amazon Services Europe, Amazon EU, Amazon Italia Services e Amazon Italia Logistica. Secondo l’Antitrust, queste «società hanno legato all’utilizzo del servizio Logistica di Amazon l’accesso a un insieme di vantaggi essenziali per ottenere visibilità e migliori prospettive di vendite su amazon.it. Tra tali vantaggi esclusivi spicca l’etichetta Prime, che consente di vendere con più facilità ai consumatori più fedeli e alto-spendenti aderenti all’omonimo programma di fidelizzazione di Amazon». Come è noto, Prime consente di aderire ai vari Black Friday, Cyber Monday, Prime Day, aumentando «la probabilità che l’offerta del venditore sia selezionata come "Offerta in Vetrina"». Amazon avrebbe così impedito ai venditori terzi di associare l’etichetta Prime alle offerte non gestite con il proprio servizio di logistica.

La decisione sta facendo molto discutere. A fianco di diversi commenti favorevoli, che si odono ogni volta che una delle grandi piattaforme tecnologiche mondiali viene sanzionata o sottoposta a vincoli, si sono lette molte critiche. Eppure, da più di un trentennio (con la L. 287 del 10 ottobre 1990) l’Autorità è stata istituita proprio a tutela della concorrenza e del consumatore, e la vigilanza contro gli abusi di posizione dominante è uno dei suoi compiti principali. Perché quindi dovremmo lamentarci di una istituzione pubblica che controlla e sanziona chi abusa della propria posizione dominante, danneggiando in questo modo gli operatori concorrenti di logistica per ecommerce, «impedendo loro di proporsi ai venditori online come fornitori di servizi di qualità paragonabile a quella della logistica di Amazon»? Per di più, in considerazione del fatto che «tali condotte hanno così accresciuto il divario tra il potere di Amazon e quello della concorrenza anche nell’attività di consegna degli ordini e-commerce»? Forse invece dovremmo auspicare un mercato totalmente libero da vincoli, e dunque da controlli e da sanzioni. Ma a vantaggio di chi?

Forse dovremmo auspicare un mercato totalmente libero da vincoli, e dunque da controlli e da sanzioni. Ma a vantaggio di chi?

La più grande internet company del mondo non sembrerebbe aver bisogno di difensori. Inoltre, la sanzione, anche se in via definitiva e dopo il ricorso non dovesse essere ridotta, potrà essere ben tollerata da una società che ha fatturato 380 miliardi solo nel 2020 e che, anche grazie alla pandemia, è destinata ad andare ben oltre nel 2021. Eppure le arringhe in sua difesa si sono sprecate. Si veda, ad esempio, l’intervento sul «Foglio» a firma di Carlo Amenta e Carlo Stagnaro, secondo i quali l'Antitrust più che i consumatori sembrerebbe tutelare i concorrenti di Amazon. O ancora, sempre sul «Foglio», l’editoriale di Giuliano Ferrara, che arriva a declamare una sorte di «laude»: «Amazon è un’amichevole intrusa, una compagna di vita, una performance eccezionale, che ti raggiunge ovunque con la rete delle reti più efficace mai esistita, ribassa i prezzi, eccita i consumi, informa, seleziona il possibile, ti cerca, ti suggerisce, ti aiuta, garantisce spedizioni per ogni dove e in tempi più che ragionevoli, ti tira fuori da un potenziale isolamento, è decisiva in tempi di libertà e ancora più decisiva in tempi di pandemia, di lockdown, di difficoltà sociali, vale cento sindacati, vale un tesoro con i suoi pacchi statuari e simbolici». Affiancato dal fondatore e ora firma di punta di «Libero», Vittorio Feltri, che ci ricorda come «il pubblico si giova ormai dei suoi servizi trovandoli perfetti, rapidi e insostituibili. In sostanza chiunque abbia bisogno di una qualsiasi fornitura, telefona alla ditta in questione [sic!] e nel giro di poche ore viene soddisfatto alla grande».

Insomma, i servizi di Amazon sono straordinariamente efficienti, sembrano ricordarci i suoi difensori. E a sanzionarla non si fa un servizio ai consumatori (sarebbe meglio dire «ai suoi clienti»; e, si sa, il cliente ha sempre ragione), visto che ormai non possiamo più farne a meno. Ma è davvero così? E, soprattutto, proprio non riusciamo a vedere il rovescio della medaglia di tutta questa straordinaria (e certamente indubbia) efficienza?

La nuova polemica sul ruolo dell’Antitrust (non è la prima e non sarà l’ultima), considerata dai giuristi «come il modello più puro in assoluto di autorità indipendente, per la sua organizzazione di fondo, le funzioni svolte, gli strumenti utilizzati e per il tipo di valori costituzionali che ha il compito di tutelare» (cfr. E. Verdolini, La legittimazione dell’Autorità antitrust come giudice a quo: quale identità giuridica per l’A.g.c.m.?, «Forum di Quaderni Costituzionali», 2018), sembra ignorare l’impatto che le grandi società della distribuzione digitalizzata hanno sui nostri modelli sociali. La sopravvivenza sul mercato deve dipendere in via esclusiva dalla sua efficienza? Se così fosse, dovremmo piantarla di lagnarci della scomparsa dei piccoli negozi, spesso botteghe storiche; o delle librerie. Soprattutto dovremmo accettare – ma ignorandone le conseguenze, che già dovremmo avere imparato a conoscere – la trasformazione del tessuto urbano delle nostre città.

La nuova sanzione ad Amazon si accompagna alla messa in atto dei progetti annunciati da tempo di aperture di punti vendita fisici, anche nel comparto alimentare

La nuova sanzione ad Amazon (l'ennesima) si accompagna infatti alla messa in atto dei progetti annunciati da tempo di aperture di punti vendita fisici, anche nel comparto alimentare. A marzo, nel cuore di Londra, è stato inaugurato il primo di una serie di punti vendita «Amazon Fresh» (aperti dalle sette del mattino alle undici di sera), dove tutto è automatizzato e non occorrono né casse né cassieri. Basta che il cliente possieda un conto corrente collegato al proprio account Amazon. È dunque in atto una vera e propria trasformazione anche fisica, che produrrà l’ennesimo cambiamento dei nostri modelli di consumo e delle nostre abitudini. Con quali impatti sul mondo del lavoro? È, almeno questa, una domanda che richiederebbe una risposta non ideologica e sufficientemente articolata. Che non si fondi né soltanto sul racconto (anche questo straordinariamente efficiente), della creazione di nuovi posti di lavoro da parte dell’azienda di Seattle, né sul timore (purtroppo in molti casi comprovato dai dati) che l’automazione a tappe forzate conduca alla perdita di altri posti di lavoro, per giunta con tassi particolarmente bassi di sindacalizzazione.

Amazon non è il diavolo. Né il suo modello, che non è solo un modello di business, come ormai dovremmo avere compreso, può essere accettato acriticamente. Se esistono istituzioni preposte al controllo della concorrenza e dei ruoli – in attesa che da parte dell’Unione europea arrivino nuovi vincoli regolatori, non solo sull’utilizzo dei dati – lasciamo che svolgano il proprio compito.