«Al lupo, al lupo!» è un’espressione tratta da una famosa storia per bambini, di cui esistono versioni diverse, ma la cui derivazione sembra risalire alle favole di Esopo. Con tale messa in guardia dal «lupo» ci si riferisce a un allarme infondato, che non sventa più alcuna minaccia una volta che questa si è eventualmente concretizzata. Qualcosa di simile riguarda il dibattito sulla laicità in Spagna.

Il punto di partenza della polemica risale alla nascita dell'edificio democratico stesso. Morto Franco, nel 1975, si pose la questione del posto che la religione, in particolare il cattolicesimo, avrebbe dovuto occupare nel nuovo sistema democratico dopo quarant'anni di franchismo, un regime in cui la religione cattolica era «l'unica della nazione spagnola», come recitava il Concordato tra la Spagna e la Santa Sede firmato nel 1953. La soluzione a cui si giunse nel periodo di transizione verso la democrazia fu il riconoscimento della laicità dello Stato in termini simili al resto d'Europa. Nel caso della Spagna, per il testo costituzionale si scelse la formula della «aconfessionalità», poiché quella della «laicità» ricordava eccessivamente il termine utilizzato nella Costituzione della Seconda Repubblica spagnola (1931), un periodo che, in parte della popolazione e dei cosiddetti padres constitucionales, era indissolubilmente rimasto legato alla violenza anticlericale. Nonostante la scelta dell’aconfessionalità, la laicità che si abbozza in Spagna è da allora in poi perfettamente paragonabile ai tratti del rapporto Chiesa-Stato nel resto d'Europa. La Spagna è senza dubbio uno Stato laico, benché non privo di imperfezioni (esiste laicità che non ne abbia?).

Dopo quarant’anni di franchismo, la democrazia spagnola riconobbe la laicità dello Stato, scegliendo la formula della "aconfessionalità", ma tentando parallelamente anche la collaborazione con le religioni

Oltre all’adozione dell’aconfessionalità, durante la transizione democratica si tentò anche la collaborazione tra il nuovo Stato democratico e le religioni, in particolare la Chiesa. Ciò finì per essere «canonizzato» con l'articolo 16.3 della Costituzione spagnola del 1978: «I poteri pubblici terranno conto delle credenze religiose della società spagnola e manterranno i conseguenti rapporti di cooperazione con la Chiesa cattolica e le altre confessioni». E ugualmente con i quattro accordi tra la Spagna e la Santa Sede, firmati nel gennaio 1979. L'approvazione della Ley Orgánica de Libertad Religiosa, nel 1980, e gli Accordi di cooperazione dello Stato con le comunità ebraica, musulmana ed evangelica del 1992 (anno del quinto centenario dall'espulsione degli ebrei spagnoli da parte dei re cattolici) completavano, grosso modo, il quadro dei rapporti Stato-religione in Spagna, che hanno retto fino a oggi e il cui principale difetto fu la concezione di un organigramma gerarchico dei rapporti tra le religioni e lo Stato: prima tra tutte, la Chiesa; in secondo luogo, le confessioni che hanno firmato gli accordi nel 1992 (ebrei, musulmani ed evangelici); a seguire, le denominazioni religiose che hanno ottenuto il riconoscimento del loro «evidente radicamento» (notorio arraigo); infine, tutte le altre confessioni religiose.

Questa è solo una parte della storia. Praticamente dallo stesso periodo della transizione democratica, la fine degli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta del XX secolo, si è aperto un dibattito permanente e ancora inconcluso sulla laicità in Spagna. Da un lato, troviamo coloro che ritengono che l'esplicita menzione della Chiesa cattolica nella Costituzione, così come l'esistenza degli Accordi Spagna-Santa Sede del 1979, violi la laicità dello Stato e invocano una contestazione integrale degli Accordi; dall'altro, coloro che difendono l'interpretazione dei rapporti Chiesa-Stato come si faceva quarant'anni fa, in una società molto diversa; infine, coloro ai quali suscita preoccupazione qualsiasi modifica, anche lieve, dell'attuale quadro normativo. «Al lupo, al lupo!», gridano gli uni per rimarcare l'imperativo di portare avanti la laicità a tutti i costi. «Al lupo, al lupo!», gridano gli altri quando sentono parlare di qualsiasi questione che si riferisca alla laicità.

Il dibattito si è polarizzato all'inizio del XXI secolo, quando la distanza tra una società sempre più secolarizzata e il quadro delle relazioni Stato-religione sviluppatosi dopo la transizione democratica è diventata sempre più evidente. A partire dal terzo millennio, i partiti di sinistra hanno posto un’enfasi maggiore sulla laicità nelle loro dichiarazioni e nei loro programmi, mentre la destra – in particolare il partito radicale Vox, che dal 2018 è la terza forza parlamentare – ha innalzato la bandiera della difesa di un certo tipo di cristianesimo culturale come «essenza» della nazione spagnola.

Due immagini possono servire a illustrare le differenze di posizione. Se Pedro Sánchez, nel 2018, è stato il primo presidente del governo a giurare senza riferimenti religiosi, José Manuel García Escolano, consigliere di Vox al consiglio comunale di Orihuela, assumeva la carica «per Dio e per la Spagna». Nonostante la polarizzazione del dibattito (o proprio a causa di essa), il quadro delle relazioni Stato-religione sviluppatosi durante la transizione democratica resta praticamente intatto.

Il dibattito tra chi sostiene che la menzione della Chiesa cattolica nella Costituzione violi la laicità dello Stato e tra chi si preoccupa di qualsiasi modifica dell'attuale quadro normativo si è polarizzato all'inizio del XXI secolo

Lo scorso mese di luglio, il Partito socialista (Psoe), partito all’attuale guida dell’esecutivo, e in particolare il neoministro di Presidenza, Relazioni con le Corti e Memoria democratica, Félix Bolaños, si smarcavano dalle posizioni più rigide tramite la proposta di una revisione, concordata e in dialogo con la Chiesa stessa, degli Accordi tra la Spagna e la Santa sede, e tramite la promessa di una nuova legge per la libertà di coscienza, religiosa e delle convinzioni. Queste dichiarazioni giungevano nel contesto del documento-quadro in occasione del quarantesimo Congresso del Psoe, previsto alcuni mesi dopo. Il congresso si è effettivamente chiuso lo scorso 17 ottobre, ma il tema non compare tra i titoli e le cronache, anche se, secondo il ministro Bolaños, da settembre sono ricominciati i contatti tra la Chiesa e il governo per cercare di raggiungere un accordo su due temi particolarmente delicati, l’immatricolazione di beni immobili da parte della Chiesa cattolica, facilitata dalla legge sulle ipoteche del 1998, e il regime fiscale.

Data la situazione appena descritta del dibattito in Spagna, viene da pensare che il problema non si strutturi esclusivamente intorno al quadro giuridico in vigore, ma che sia piuttosto una questione di volontà. Finora, entrambe le parti hanno dimostrato più interesse a utilizzare il tema della laicità come slogan politico o come minaccia per il presunto cristianesimo culturale di Spagna che per dare vita a una riflessione serena e condivisa tra le diverse forze politiche e con le diverse religioni su questo punto particolarmente indispensabile per la qualità della vita democratica di un Paese.

Per questo, forse, prima di continuare a gridare, da una parte o dall’altra, «al lupo, al lupo!», frase che presto o tardi resta vuota, o nel peggiore dei casi polarizza gli animi, la sfida fondamentale per ripensare la laicità alla luce delle esigenze del XXI secolo, e con un occhio a quella società plurale che attualmente è la Spagna, è la ricerca del consenso, vale a dire recuperare – in una certa misura e adattandolo alle circostanze attuali – quello «spirito» che ha caratterizzato la transizione democratica che ha permesso di generare un quadro che, con i suoi pregi e i suoi difetti, è durato più di quarant'anni. In definitiva, superare la polarizzazione che circonda la laicità, poiché è proprio la tensione che, lungi dal favorire che il dibattito culmini in azioni concrete, lo paralizza.

 

[Traduzione di Antonio Ballarò]