Si potrebbe certo ragionare su qualcuno dei grandi problemi che affliggono la fase attuale della politica italiana. Sarebbe opportuno e lo si fa anche in misura tutto sommato rilevante. A volte però ci sono piccole cose su cui si riflette poco e che invece mostrano come il nostro sia, per certi versi – riprendendo l’immagine di un libro del maestro Mario Lodi, scomparso quasi due anni fa – un «Paese sbagliato».
Il primo pensiero riguarda la protesta dei diplomatici, perché il governo Renzi ha nominato come ambasciatore presso l’Ue un uomo politico anziché un diplomatico di carriera. Nei Paesi normali, che non sono mitici, ma esistono realmente, il fatto che si possano nominare come ambasciatori personalità prese fuori dei ranghi della diplomazia non suscita alcun problema. I primi a saperlo dovrebbero essere proprio i diplomatici di carriera, che per ottenere l’incarico sostengono anche degli esami di storia delle relazioni internazionali. Gli Stati Uniti sono sempre ricorsi a questa opportunità e non risulta che la capacità d’azione di quello Stato ne sia uscita compromessa.
Se invece si leggono le proteste di quelle che vengono ancora definite «feluche», compresa una quota di giovani, sembra che siamo davanti a un delitto di lesa corporazione. Secondo alcuni quanto avvenuto lederebbe addirittura il principio della meritocrazia, che evidentemente secondo questi signori non può esistere che fra i «mandarini», cioè all’interno di una cerchia di addetti ai lavori che si autocertificano come gli unici capaci di gestire la politica estera.
Ovviamente qualsiasi osservatore minimamente attento può spiegare che la politica estera è gestita da ministri, viceministri e sottosegretari che in tempi di viaggi facili e connessioni poco problematiche trattano direttamente coi loro pari negli altri Stati. Ora tutti questi ruoli sono in capo a uomini politici, salvo rare eccezioni (di recente una non brillante, il ministro Terzi; e una invece efficace, Sandro Gozi, membri di governi che provenivano da carriere diplomatiche). Ma se un politico può ricoprire l’incarico di ministro degli Esteri, è sostenibile l’obiezione secondo cui non possa essere un buon ambasciatore?
Si dirà: ma un ambasciatore deve muoversi anche su un terreno di technicalities più formalizzate. Però l’ambasciatore non è un signore che lavora da solo, ma è a capo di uno staff, a volte neppure tanto piccolo che, si suppone, è in grado di fornirgli quelle informazioni e quel supporto tecnico che potrebbe non avere completamente qualora non fosse «del mestiere». O dobbiamo immaginare che sia lecito ai funzionari di una ambasciata boicottare il loro superiore? Sarebbe questo lo spirito da public servant in cui ci si dovrebbe aspettare fossero stati allevati?
Passiamo ad un tema completamente diverso. Abbiamo letto che l’onorevole Nunzia De Girolamo ha scritto al papa, lamentandosi di un parroco che non le ha consentito di essere «madrina» a un battesimo perché non regolarmente sposata e, si suppone, non particolarmente praticante. Anche qui siamo sempre nel quadro di un «Paese sbagliato». In teoria il padrino e la madrina nei sacramenti in cui ciò è previsto dovrebbero essere persone che sostituiscono in caso di impedimento i genitori, o comunque li aiutano nell’educazione religiosa dei bambini. Che a un compito del genere si possa pensare non siano idonee persone che non condividono la pratica di appartenenza alla comunità religiosa sembrerebbe logico. In realtà tutti sappiamo benissimo che questa è la teoria, mentre la realtà è un’altra. Padrini e madrine sono figure rituali dei rapporti familiari che raramente servono al compito previsto dalla «teoria». Gli stessi riti del battesimo o della comunione sono spesso occasioni di adesione passiva a pratiche sociali più che religiose, quando non siano puramente occasioni per organizzare «feste».
La Chiesa nella sua prassi mediamente ha fatto finta di nulla circa questo modo di percepire le sue cerimonie (e infatti la De Girolamo si lamenta che in un caso analogo nessuno abbia fatto obiezioni al suo compagno per fare il padrino). Ma una persona, che per il ruolo che ricopre dovrebbe conoscere la razionalità che governa certe regole e comportamenti, scrive invece al papa per richiamarlo all’opportunità di proseguire nell’andazzo con cui la prassi sociologica ha «riformato» i significati dei sacramenti cristiani.
Abbiamo trattato, consapevolmente, due piccoli episodi, forse marginali e che comunque finiranno, crediamo, presto dimenticati. Tuttavia sembrano esempi davvero significativi di un Paese come il nostro in cui troppe cose stanno perdendo significato, perché accettiamo che possano essere avulse da un quadro di contesto razionale e soprattutto constatiamo che ciò possa avvenire senza che praticamente nessuno se ne accorga. Eppure è la sensibilità verso le deviazioni dalla razionalità ciò che serve a una cultura politica diffusa perché questo Paese possa almeno avviarsi a cambiare davvero verso.
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