Elezioni europee: Irlanda. I “Soldati del Destino” del Fianna Fáil, il maggiore partito politico irlandese fino a ieri, fondato dal padre della patria Eamon de Valera nel 1926, stavolta hanno perso la loro battaglia.

La Fine Gael (“Famiglia degli Irlandesi”) ha conquistato la sua prima maggioranza nel Paese dal 1933, anno della fondazione del partito. Si tratta di una vittoria doppia, sia perché riguarda la rappresentanza che l’Irlanda manda a Strasburgo e Bruxelles, sia perché riguarda la rappresentanza politica interna ottenuta con le elezioni amministrative e suppletive che si sono svolte in contemporanea alle europee. A livello locale lo scarto è ancora più impietoso: 32% contro il 25% dei rivali, spesso alleati, dei Fianna Fáil (FF).
I FF, partito di centro-sinistra del Taoiseach (Primo ministro) Brian Cowen al governo in coalizione con Verdi e Democratici, hanno perso ben 5,4 punti nei voti di prima preferenza degli elettori rispetto alle ultime elezioni europee, mentre i FG hanno incrementato dell’1,4% e il Labour del 3,4%. Questi ultimi hanno segnato il miglioramento più evidente, raggiungendo i tre eletti sui 12 spettanti all’Irlanda, risultato che non ottenevano dalle prime elezioni del 1979, quando elessero quattro eurodeputati. I Verdi sono stati puniti in maniera decisa dagli elettori: un misero 2% nelle amministrative che nella sostanza li toglie dal panorama politico e mette in discussione il proseguimento dell’alleanza di governo.
L’analisi del voto da parte dei media irlandesi è pressoché unanime. Che si parli di “bagno di sangue” per il Premier Cowen (Irish Independent), o di “spartiacque” nella storia politica del Paese (Irish Times), tutti concordano nel definire il voto degli irlandesi una bocciatura della politica, specialmente economica, del governo in carica. Cowen già in campagna elettorale aveva annunciato un cambio di rotta nel programma di governo previsto dopo le elezioni, così come i Verdi suoi alleati, ma oggi sono in molti a chiedergli di dimettersi senza neanche concedergli il tempo di un possibile recupero prima delle elezioni politiche previste per il 2012. Il Taoiseach, nonostante la tempesta incombente del peggior risultato storico del suo partito, confida che il secondo referendum sul Trattato di Lisbona, previsto per ottobre di quest’anno, riuscirà a riportare il consenso perduto.
Proprio oggi un sondaggio rileva che le intenzioni degli irlandesi propendono decisamente per il sì a Lisbona: il 54% si dice infatti disposto ad approvarlo, riconoscendo che l’Europa è stata un buon affare per l’Irlanda e vale la pena proseguire nell’integrazione. Il 28% continua a sostenere quel no che ha affossato il trattato nella primavera del 2008: ma allora l’Irlanda era ancora la Tigre Celtica convinta di potercela fare con i propri mezzi, e molti non si preoccuparono nemmeno di informarsi o andare a votare. Il 18% d’indecisi probabilmente non influenzerà il risultato che ad oggi pare scontato. Probabilmente la cifra di 400.000 disoccupati diffusa venerdì, corrispondenti a circa il 10% della popolazione, con tendenza all’incremento, spaventa molti nel Paese che nel 2007 vantava la pressoché piena occupazione.
In questa tornata la percentuale dei votanti è stata del 57,6%: l’astensionismo è stato alto, ma meno che in alcune precedenti consultazioni. Nel 2004 votò il 58,6%, nel 1999 il 50,2%; ma nel 1994, va ricordato, soltanto il 43,9%. Delle quattro circoscrizioni (Est, Sud, Nord-Ovest e Dublino), che eleggono tre deputati ciascuna, stavolta anche la riottosa capitale ha partecipato di più al voto, sfiorando il 50% dopo che per anni si è vista attestata attorno al 40%.
Vince quindi la FG, partito centrista conservatore ed europeista per vocazione. La trasformazione dei FF in sostenitori dell’Europa sembra arrivare un po’ troppo tardi e un po’ troppo per convenienza. L’Irlanda è uno dei Paesi che più ha beneficiato dei fondi europei per lo sviluppo, e solo nella crisi corrente la gente sta scoprendo che questi soldi sono stati spesi per abbassare le tasse alle imprese, nella maggior parte dei casi imprese straniere che non hanno stimolato l’imprenditoria locale ma si sono limitate a importare il modello economico liberista, soprattutto in ambito bancario. Il caso dell’AIB (Anglo Irish Bank) in questi giorni tiene banco: servono 4 miliardi di euro per coprire i debiti della maggiore banca del paese, e altri 3,5 per l’operatività corrente. Ma la Anglo, com’è familiarmente chiamata, è già stata nazionalizzata lo scorso autunno con un’iniezione di denaro mai vista e sotto giuramenti che la manovra sarebbe bastata a rimetterla in piedi: troppo poco tempo è passato perché il contribuente se ne sia dimenticato.