Può darsi che attaccando la scuola pubblica il presidente del Consiglio abbia voluto fare un favore alle gerarchie ecclesiastiche, al fine di rafforzare un puntello che finora gli è servito per stabilizzare il suo potere, sottoposto a pericolose scosse telluriche. Almeno nelle esternazioni pubbliche i destinatari non sembrano avere particolarmente apprezzato l’omaggio. Si sono infatti affrettati a sottolineare che a loro la scuola pubblica sta altrettanto a cuore della scuola “privata” (cioè, da loro gestita e controllata).

In realtà, l’equazione “scuola privata = scuola cattolica” è fuorviante. Quantitativamente, il numero più consistente (in termini di iscritti) di scuole private è composto da un folto sottobosco di scuole che garantiscono una qualche istruzione (si fa per dire) agli studenti che non ce la fanno nella scuola pubblica. Per ottenere un pezzo di carta per i loro figli “somari” i genitori sono ben disposti a sborsare sommette non trascurabili. Ci sono poi anche le scuole private (cattoliche e non) di buona qualità, ma non sono tantissime. Squalificando la scuola pubblica, si alimenta il settore privato, non solo quello di qualità, ma anche, e soprattutto, quello dove la qualità lascia molto, ma molto a desiderare.

È verosimile che il presidente del Consiglio si sia lasciato andare alla filippica contro la scuola pubblica nella convinzione che gli insegnanti siano tutti di sinistra. Forse qualche consigliere troppo zelante – che ha in mente una sorta di "Scuola delle Libertà" strutturata per circoli e circoscrizioni, secondo un modello "azzurro" – gli ha dipinto la scuola pubblica come una roccaforte in mano all’opposizione. È vero che mediamente gli insegnanti sono un po’ più di sinistra della popolazione degli elettori, ma ciò è in gran parte dovuto al fatto che si tratta di laureati: e chi ha studiato di più è anche più propenso a non amare la politica dell’attuale governo. 

In ogni caso, l’attacco un effetto (positivo) lo ha ottenuto. Gli insegnanti sembrano aver avuto un sussulto di orgoglio professionale. A nessuno è piaciuto essere etichettato come agitatore sovversivo che plagia le coscienze dei “nostri” figli.  Non è piaciuto a quegli insegnanti (pochi) che effettivamente usano la cattedra come un pulpito per le loro prediche; non è piaciuto a coloro (e sono molti di più) che evitano di esporre le loro convinzioni politiche; non è piaciuto agli insegnanti che votano a sinistra. Ma non piaciuto neppure a molti di coloro che votano a destra. La grande maggioranza ha preso le parole del premier come un’offesa a un ceto professionale che cerca di fare dignitosamente il proprio lavoro in condizioni spesso difficili e con riconoscimenti materiali e morali assai scarsi. Dopo la magistratura, un attacco a un’altra istituzione, come se distruggere sistematicamente la fiducia nello Stato potesse giovare alla credibilità del governo.

Non c’era bisogno delle parole del premier per convincere gli italiani che la scuola non gode di buona salute. Ma quello di cui la scuola ha più bisogno per immettersi sulla strada della ripresa è soprattutto fiducia: da parte delle famiglie, degli studenti, della classe dirigente e della classe politica. Un presidente del Consiglio, anche questo presidente del Consiglio, dovrebbe saperlo.