Gene Sharp, chi? Questa è stata la reazione della maggior parte di coloro che, aprendo il «New York Times» qualche giorno fa, hanno letto l’articolo sul timido e oscuro professore di 83 anni che, dalle stanze del modesto edificio di Boston in cui ha sede l’Albert Einstein Institute, da lui fondato nel 1983, sembra abbia promosso o quanto meno intellettualmente fomentato le rivolte che stanno sconvolgendo la sponda sud del Mediterraneo e infiammando il Medioriente. Autore nel 1973 di The Politics of Nonviolent Action, Sharp ha dedicato la sua vita allo studio dei movimenti di protesta pacifisti e alla lotta a ogni forma di autoritarismo e di dittatura attraverso la pratica non violenta. Studioso di Gandhi, dopo aver ottenuto il Ph.D. a Oxford ha insegnato alla University of Massachusetts, prima di approdare ad Harvard come direttore del Program on nonviolent sanctions del Center for international affairs. Dal 1983 è l’anima dell’Albert Einstein Institute, prima come presidente, e poi come senior scholar.La sua attività di ricerca si è fin dalla gioventù unita a una militanza politica nei gruppi della sinistra americana. La pratica della disobbedienza civile e della nonviolenza lo portò a trascorrere due anni in carcere per essersi rifiutato di arruolarsi nella guerra di CoreaLa sua attività di ricerca si è fin dalla gioventù unita a una militanza politica nei gruppi della sinistra americana. La pratica della disobbedienza civile e della nonviolenza lo portò a trascorrere due anni in carcere per essersi rifiutato di arruolarsi nella guerra di Corea. Durante gli anni delle lotte per i diritti civili, venne arrestato diverse volte per aver partecipato ai sit-in. Direttore della rivista pacifista «Peace News», è stato assistente personale di una figura significativa del sindacalismo e della sinistra radicale americana come Abraham J. Muste, che ottenne nel 1958 il Peace Award e fu, fino alla sua morte nel 1967, uno strenuo oppositore della guerra in Vietnam.

Che cosa ha a che fare, quindi, una figura come quella di Sharp, così storicamente situata nel contesto della sinistra pacifista, femminista e progressista americana, con ciò che succede in Medioriente oggi? In realtà molto. Alcuni suoi testi, da From Dictatorship to Democracy a 198 Methods of Nonviolent Action sono stati tradotti in più di 30 lingue, incluso l’arabo, e rappresentano veri e propri manuali di azione nonviolenta. Fu il movimento giovanile serbo Otpor il primo a dichiarare di essersi ispirato alle idee di Sharp, seguito da quelli che hanno dato vita alle cosiddette rivoluzioni delle rose (Georgia) e arancione (Ucraina) del 2003 e del 2004, e dai movimenti in Asia, Africa e Medioriente, incluse le rivolte in Iran. Già negli anni Ottanta, gli attivisti palestinesi avevano stilato i loro 120 metodi di disobbedienza civile non violenta, basandosi su The Politics of Nonviolent Action, frutto anche degli incontri di Sharp con alcuni gruppi della West Bank e di Gerusalemme. Negli anni Novanta, poi, molti furono i contatti tra Sharp e i gruppi della resistenza tibetana e birmana.

Le attività connesse all’istituto – workshop, fellowship, pubblicazioni – hanno contribuito a diffondere le idee di Sharp, ma anche a costituire, secondo alcuni, una vera e propria «palestra» di formazione per gli attivisti che hanno riportato in patria i metodi appresi, come alcuni blogger e militanti egiziani. Tutto ciò però ha addensato sospetti che cozzano contro quell’anima progressista e pacifista a cui la biografia di Sharp rimanda. Ombre che si sono tramutate in vere e proprie accuse, come quelle di Chavez o del regime iraniano, che hanno, tra l’altro, incolpato l’Einstein Institute di aver finanziato i gruppi di opposizione – grazie anche a miliardari come George Soros o Peter Ackerman, ritenuti gli sponsor dei «soft coups» che hanno rovesciato i regimi in Serbia, Georgia e Ucraina. Uno strumento quindi attraverso cui il governo americano, dietro il manto del sostegno alla società civile, ha manovrato per indirizzare i conflitti in aree strategicamente significative per i propri interessi. Le attività connesse all’istituto hanno contribuito a diffondere le idee di Sharp, ma anche a costituire una vera e propria "palestra" di formazione per gli attivisti che hanno riportato in patria i metodi appresi, come alcuni blogger e militanti egizianiA difesa di Sharp, tuttavia, si sono mobilitati, con una lettera aperta nel 2008, attivisti e famosi intellettuali della sinistra radicale, come lo storico, recentemente scomparso, Howard Zinn e Noam Chomsky, e associazioni pacifiste quali la Women’s International League for Peace and Freedom. Difficile, ovviamente, districarsi in quella che per alcuni è opera di chiarificazione e per altri invece di mistificazione. La storica contrapposizione ideologica e la polarizzazione politica rendono difficile situare quell’intreccio tra governo americano e attori privati – fondazioni, centri di ricerca, ma anche organizzazioni e gruppi civici – che ha costituito un elemento spesso sottovalutato della politica internazionale americana e che non può essere facilmente interpretato in termini di asservimento o strumentalizzazione. E questo sembra uno di quei casi.