La crisi sta colpendo tutti. Beh, insomma, tutti, diciamo quasi tutti. Fa sfracelli nei bilanci pubblici, tanto che gli amministratori, poveri loro, devono fare scelte dolorosissime. E tagliare. Pieni zeppi di buon senso, tutti, diciamo quasi tutti, tagliano i settori che non risultano indispensabili alla sopravvivenza dell’essere umano. Ecco allora spiegato perché, tanto per fare un esempio, nelle case di tutti, o quasi, sgorga ancora l’acqua dai rubinetti. E, nella maggioranza dei casi, ci si riesce addirittura a lavare con l’acqua calda.Gran cosa il buon senso. Ne aveva molto anche il mio bisnonno, che infatti, pur travagliato da mille e una difficoltà, proprio grazie a un sapientissimo uso del buon senso riuscì a far campare decentemente tutta la sua numerosa famiglia.
Su questo schema elementare (meno risorse, tagli indispensabili, e dove, se non al superfluo?) si basano e si sono basate per anni le scelte amministrative di pezzi non irrilevanti di questa nostra Italia. Tanto da rendere comprensibilissimo e, anzi, addirittura virtuoso, il meccanismo implacabile che ha ridotto drasticamente i fondi per la cultura.

“Cultura”, una vera e propria parolaccia ormai, che al confronto i dettagli rivoltanti che si leggono ormai ovunque alla voce “bunga bunga e dintorni” fanno sorridere. La vera parolaccia è questa: “cultura”.

Ormai dovrebbe essere chiaro: spendere in cultura è del tutto inutile e, quindi, dannoso. In alcuni casi può poi essere pericolosissimo. Soprattutto se si offrono delle alternative alle scelte dei più giovani. Ma a noi, che siam moderni e progrediti, i giovani piacciono, pure loro, moderni e progrediti. Ipertecnologizzati. Iperconnessi. Insomma, ipergiovani. Iperomologati, in una parola. Certo, purtroppo la penisola è stretta e lunga. Eppur che siam connessi, le informazioni da nord a sud non sempre viaggiano a grande velocità. E qualche area del Paese rimane indietro. Peccato. Perché se così non fosse, l’Italia intera saprebbe cogliere gli impulsi modernizzatori del lombardo-veneto, orgoglio della Patria che ricorda i suoi centocinquant’anni di vita.

Un esempio spiega tutto. Per ora solo qualche biblioteca veneta, grazie al suddetto impulso modernizzatore, ha tolto dai propri scaffali i libri che non possono che far danno ai nostri ipergiovani. Ma poco alla volta, almeno questo è l’auspicio, sarà l’intero catalogo Opac a trovarsi alleggerito di cotanta millantata cultura. Con vantaggio indubbio per la formazione delle giovani generazioni e, al pari, dei bilanci pubblici. Giunti a questo punto, ci viene anzi da suggerire a quegli amministratori e a quei governanti che hanno così a cuore l’educazione dei nostri giovani, e dunque si preoccupano senza risparmio di stilare liste di libri “diseducativi”, di raccogliere tali volumi (sparsi per l’Italia devono essere qualche milione, un bel po’ di soldini a prezzo di copertina), e metterli in vendita. Magari suggerendo l’acquisto in blocco a qualche biblioteca che ancora soffre la cultura retrograda di chi la governa. Per dire: la Bibliothèque Nationale, la Staatsbibliothek, la British Library. Templi del sapere obsoleto e inutile, dove ancora gli amministratori in libri spendono soldi, e senza guardare troppo per il sottile al valore “educativo” di un titolo o di un altro. Là ancora, in quei poveri Paesi, investono in biblioteche; ne fanno pure costruire di nuove, dilapidando patrimoni.

Ma noi che siamo furbi, e mica per niente siamo italiani e alla fine ce la caviamo sempre, vendiamo loro i libri diseducativi. E facciamo cassa. Non è geniale?

p.s.: certo che, a essere sinceri, anche noi qualche libro “diseducativo” in casa l’abbiamo. E un po’ ci dispiacerebbe disfarcene. Che si fa allora? Beh, li terremo. Perché poi, alla fine, in casa propria uno non può fare quel che vuole (una volta si diceva “i suoi porci comodi”)? I vertici istituzionali questo insegnano. E noi, che siamo cittadini attenti alle istituzioni, questo impariamo.