Le ruspe dei coloni. «Hebron, la Giudea e Samaria, sono parte inalienabile di Eretz Israel, la sacra terra d’Israele. Ad affermarlo è qualcosa di ben più importante di una risoluzione Onu: è la Torah». Così Danny Dayan Chairman, presidente di Moatzat Yesha, il coordinamento che raccoglie le rappresentanze municipali degli insediamenti ebraici in Cisgiordania.

Dal 26 settembre 2010, giorno in cui si concludeva la moratoria di dieci mesi che il governo Netanyahu aveva imposto all’espansione edilizia delle cittadelle ebraiche, ruspe e betoniere sembrano avere ripreso a girare a pieno regime. La regione cisgiordana, conosciuta anche come West Bank e denominata dagli israeliani con i nomi biblici di Giudea e Samaria, è il fulcro dell’attuale società palestinese e, in prospettiva, dovrebbe costituire il territorio del futuro «Stato di Palestina», quello per cui Barack Obama ha vaticinato, entro un anno, un seggio all’Assemblea dell’Onu. Peraltro l’intera area rivela un attivismo economico che si traduce in una invidiabile crescita, pari al 7% annuo del prodotto interno lordo. Ma la dipendenza dai vicini, e in particolare da Israele, è tale da determinarne ogni futuro sviluppo.

Escludendo la municipalità di Gerusalemme nei suoi quartieri orientali, a prevalenza araba, in Cisgiordania vivono 280.000 ebrei

Qual è allora la sua reale situazione, dopo più di quarant’anni di crescente presenza israeliana? Escludendo la municipalità di Gerusalemme nei suoi quartieri orientali, a prevalenza araba (ma dove la presenza ebraica ha superato i 180.000 elementi, circa il 40% dell’intera popolazione), in Cisgiordania vivono 280.000 ebrei. Gli insediamenti censiti, le cui proporzioni possono variare da un minimo di poche decine di individui a decine di migliaia di abitanti (ad esempio, a Ma’ale Adunim sono 33.000), raggiungono la cifra di 121. Nell’agosto del 2005 l’allora governo Sharon aveva smantellato integralmente i 17 insediamenti presenti nella striscia di Gaza, trasferendo la popolazione ebraica, 8.000 persone, in Israele. Nulla era invece mutato in Cisgiordania, dove solo quattro agglomerati residenziali erano stati evacuati.

Agli insediamenti censiti se ne aggiungono, di prassi, altri, ritenuti «abusivi» poiché edificati senza alcuna autorizzazione da parte delle autorità. La politica adottata dai governi israeliani dal 1977 in poi ha fatto sì che, con il trascorrere del tempo, essi venissero smantellati oppure riconosciuti all’interno della rete residenziale ebraica. Si tratta di un processo per gemmazione dove all’iniziativa dei privati si aggiunge e si sovrappone, legittimandola, la volontà dell’amministrazione pubblica israeliana. I costi di questa presenza, in perenne crescita dal 1967, anno in cui la Cisgiordania fu conquistata militarmente dall’esercito israeliano e assicurata a una amministrazione “temporanea”, civile e militare, sono stati ad oggi non meno di 50 bilioni di dollari. La spesa annua per la sicurezza e l’insieme delle funzioni di controllo del territorio ammonta a 2,5 bilioni di shekelim, la moneta israeliana (al cambio vale 0,275 dollari).

La spesa annua per la sicurezza e l’insieme delle funzioni di controllo del territorio ammonta a 2,5 bilioni di shekelim, la moneta israeliana

I palestinesi lamentano un triplice danno: sul piano della lievitazione della presenza ebraica, laddove la crescita degli insediamenti costituisce una sottrazione di terre alla giurisdizione locale; sul versante dei collegamenti e della continuità dei territori, poiché il sistema di bypass road, un circuito di strade interdette ai palestinesi, atomizza i rapporti tra le diverse comunità arabe; nel merito dell’accesso alle risorse naturali, a partire da quelle idriche, che vengono perlopiù sfruttate dagli abitanti degli insediamenti ebraici in misura fortemente asimmetrica.

L’evoluzione del complesso e delicato quadro locale è condizionato al momento da due decisioni strategiche. Da una parte le autorità della municipalità di Gerusalemme intendono portare avanti un progetto per l’edificazione di 1.362 unità abitative, situate nella parte orientale della città, a Givat Hamatos, tra Talpiot (cinque chilometri a sud della «città vecchia») e Gilo (area residenziale alla periferia sudoccidentale della capitale israeliana, con circa 40.000 abitanti). Si tratta di una zona ad alta densità abitativa araba anche se in essa, dal 1991, c’è un robusto insediamento di ebrei d’origine etiope. Non di meno, ed è il secondo elemento di frizione, è prevista l’edificazione di 2.066 unità abitative in 42 diversi insediamenti cisgiordani, all’interno di un più ampio percorso di sviluppo e rafforzamento dei medesimi, che porterebbe all’incremento di 13.000 unità l’ammontare complessivo delle nuove costruzioni. Tanto per dire che i mattoni non uniscono, semmai dividono.