La Moldavia tra Russia e Occidente. La Repubblica di Moldavia è tornata ad essere una “zona calda” d’Europa. Le elezioni parlamentari del 5 aprile scorso hanno infatti premiato il Partito comunista (Pcrm) del Presidente della Repubblica Vladimir Voronin, che ha raccolto il 49,48% dei voti.

Il risultato delle elezioni ha scatenato immediatamente violente proteste di piazza nella capitale Chişinǎu, dove i manifestanti (tra i quali molti studenti) – che denunciavano brogli smentiti peraltro dagli osservatori Ocse – hanno attaccato il Parlamento, appiccando fuoco all’edificio. La partita che si gioca in questo piccolo stato al confine tra Romania e Ucraina è assai complessa, perché non riguarda semplicemente gli equilibri tra le forze politiche e il livello di democrazia interno.

 

Due stati europei sono infatti direttamente interessati alle vicende moldave: la Romania e la Russia. La Repubblica di Moldavia è uno degli stati sorti dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica. Culturalmente e linguisticamente affine alla confinante Romania (della quale fece parte tra le due guerre mondiali), all’inizio degli anni Novanta è parsa prossima alla riunificazione con Bucarest. La situazione è stata però complicata dalla presenza al di là del fiume Dnestr di una piccola regione, la Transnistria, abitata da consistenti minoranze russe e ucraine (entrambe intorno al 15% della popolazione moldava) e al cui interno si concentra una parte importante delle attività industriali del paese. In questa regione, dopo la proclamazione di indipendenza della Moldavia dall’Unione Sovietica, sono emerse forti tendenze centrifughe orientate al perseguimento di un’ampia forma di autonomia, se non di vera e propria indipendenza. Il tutto, naturalmente, con il sostegno della Russia. Tutto ciò ha enormemente complicato le trattative con lo stato romeno, poi definitivamente tramontate quando, alle elezioni del 1996, il Partito comunista si è affermato come forza politica di maggioranza. Nel decennio successivo il governo di Chişinǎu ha inaugurato una politica interna di crescente autonomia rispetto alla Romania, tanto è vero che si è cominciato a parlare di una lingua moldava distinta dal romeno e i rapporti con Bucarest si sono progressivamente deteriorati. Parallelamente l’influenza di Mosca si è fatta via via più incisiva, soprattutto dopo l’ascesa di Putin. Il Partito comunista, egemonizzato da personalità di origine russa, ha rappresentato a lungo, per gli osservatori occidentali, la longa manus di Mosca.


Tuttavia tra il 2005 e il 2009 qualcosa è cambiato. Nel 2007 la Romania è entrata nell’Ue e il partito di Voronin ha dichiarato di volersi allontanare dalla partnership russa e di voler operare un avvicinamento all’Ue. Sulla sincerità di questo mutamento di rotta esistono evidentemente dubbi sostanziali. I risultati economici interni infatti non sono stati incoraggianti: lo dimostra soprattutto l’elevato tasso di emigrazione all’estero, che ha portato più di un terzo della popolazione a emigrare. La perdita di popolarità dell’“opzione russa” può aver pesato non poco sulla scelta del partito di governo. Della persistenza di un forte legame tra Voronin e il governo di Mosca resta comunque convinta la piazza, che ha scandito slogan anticomunisti ed europeisti. Il timore delle forze politiche di opposizione è che il Partito comunista consolidi il proprio potere indebolendo il sistema democratico interno e bloccando le speranze moldave di accedere alla Nato e all’Ue. La reazione del Pcrm è stata molto dura: le manifestazioni hanno avuto inizio ancora prima della proclamazione dei risultati ufficiali, per cui alcuni leader comunisti hanno parlato di un tentativo di colpo di stato, accusando apertamente la Romania di voler destabilizzare il paese. La crescente tensione tra i due stati ha portato al reciproco ritiro degli ambasciatori. Ai cittadini e ai reporter romeni è stato impedito l’ingresso nel paese. Il fatto che la questione coinvolga direttamente uno stato membro dell’Ue rende la situazione moldava ancora più delicata. Se la situazione sembra tornata faticosamente alla normalità, troppe questioni restano ancora irrisolte per pensare che la calma apparente che regna oggi in Moldavia ponga il paese al riparo, nel prossimo futuro, da nuove esplosioni di violenza.